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26/04/2020 06:00:00

La vera Liberazione

di Massimo Jevolella

Le sventure possono essere di tre tipi. Il primo è quello determinato dalla pura fatalità. Il secondo è quello generato da un misto – in proporzioni variabili – tra la fatalità e la nostra responsabilità. Il terzo deriva unicamente dai nostri pensieri e dalle nostre azioni. Un terremoto, o un asteroide che colpisce la Terra, sono sciagure del primo tipo. La pandemia da coronavirus è un chiaro e terribile esempio del secondo. Il nazifascismo, le guerre, o l'elezione di Trump a presidente degli Usa, sono senza alcun dubbio catastrofi del terzo tipo, essendo derivate solo dalle scelte umane. Liberarcene dipende solo da noi. Ma che significa questo esattamente?

Quando Giorgio Gaber dichiarava di temere non tanto “il Berlusconi in sé”, quanto “il Berlusconi in me”, non diceva affatto una corbelleria. Al contrario, egli alludeva con arguzia a quello che in fondo è il problema dei problemi: la nostra “dura cervice”, l'eterno groviglio degli errori che annebbiano i nostri cervelli e dei mali che affliggono le nostre anime, e ci conducono spesso a compiere le scelte più deleterie per la nostra vita e per le vite degli altri. E non crediate che ciò che sto dicendo abbia poco a che vedere con la ricorrenza appena trascorsa del 25 aprile. Il riferimento alla Liberazione non è metaforico, ma oltremodo concreto.

Per rendersene conto, un modo formidabile sarebbe quello di rileggere alcuni passi del Diario che la giovane ebrea Etty Hillesum scrisse ad Amsterdam tra il 1941 e il '43, prima di concludere la sua vita in una camera a gas di Auschwitz. La mente lucidissima di Etty era penetrata fino in fondo nel problema dei problemi. Aveva acquisito cioè la consapevolezza che la vera liberazione non può consistere in una qualsiasi azione esteriore, ma può essere solo il frutto di una conquista interiore. Di un vero cambiamento di noi stessi. Di una conversione. Per questo lei affermava – e in modo niente affatto paradossale – di non riuscire a odiare nemmeno i suoi persecutori nazisti. Perché il nostro vero persecutore, lei diceva, è il male che noi tutti ci portiamo dentro. E che spesso finisce col materializzarsi in qualche sciagura esteriore, in un dramma personale o in una tragedia storica, come appunto nei casi del fascismo e del nazismo e dei loro crimini contro l'umanità.

Scriveva Etty nel 1943: “Il marciume che c'è negli altri c'è anche in noi, e non vedo nessun'altra soluzione, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. È l'unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale”. E si appellava a Gesù e al Vangelo di Matteo, lei ebrea, per confermare la sua visione chiara del male radicale che ci conduce ad addossare sempre le colpe a qualcuno o a qualcosa che agisce “fuori di noi”, invece di riconoscere la trave che oscura la nostra vista. In Italia fu Aldo Capitini, propugnatore dell'ideale gandhiano della non violenza e fondatore dell'Associazione vegetariana italiana, uno dei pochi che in quell'epoca di lotte sanguinose e spietate videro con chiarezza il senso anche politico di questa evangelica verità.

Anche Giacomo Leopardi era arrivato, io credo, sebbene per altre vie, a conclusioni analoghe. C'è un passo illuminante, a tal proposito, nel suo Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Là dove scrive: “Il mondo è pieno di errori, e prima cura dell'uomo deve essere quella di conoscere il vero... Tutti convengono che fa d'uopo rinunziare ai pregiudizi, ma pochi sanno conoscerli, pochissimi sanno liberarsene, e quasi nessuno pensa a recidere il male alla radice”.

Recidere il male alla radice! Combattere i pregiudizi! Che senso possono avere questi propositi, se non li riferiamo appunto a quel groviglio di stupidità, egoismo, cecità intellettuale e miseria morale che ci affligge nell'intimo, deturpa la nostra natura e ci induce quasi sempre a cercare in altro o in altri le colpe dei nostri mali e delle nostre sventure? L'odio, per esempio, e i complottismi e le false notizie che imperversano nel nostro mondo non sono forse figli di questa nostra sciagurata propensione? E allora eccoci, come tanti Don Chisciotte, a lanciarci rovinosamente contro i mulini a vento trasfigurati in mostri dalla nostra rabbia impotente. Ma il Cavaliere dalla triste figura ebbe la gran fortuna di vivere pazzo e di morire savio. Lui, infine, seppe ottenere la sua liberazione. Potremmo provarci anche noi, senza aspettare di giungere in punto di morte?