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21/07/2020 02:00:00

Il tonno che si taglia col coltello 

I primi mesi di questo 2020 li abbiamo vissuti in un regime di "clausura responsabile", convinti che dovevamo vincere la guerra contro un nemico terribile, invisibile, apocalittico. E allora "TUTTI DENTRO!" E cosa potevamo fare, chiusi in quel "dentro" che era la nostra cella-appartamento, se non aggrapparci, avidi, come un neonato al suo biberon, alla finestra virtuale che ci faceva, malgrado tutto, sentire ancora collegati a quel nostro caro vecchio(...ormai insidioso) "mondo fuori"? Per quasi tre mesi il biberon-TV ha nutrito le nostre coscienze con un flusso continuo e iperproteico di informazioni D.O.C. (beh bisogna dirlo: a parlare erano scienziati accreditati, luminari della medicina, eminenze della Protezione Civile, guru dell'OMS... più D.O.C di così?!).

Grazie al latte televisivo abbiamo appreso che il bio-killer contro cui eravamo in guerra era più subdolo, insidioso e intrusivo di quanto si fosse pensato in principio. Che indossare la mascherina non serviva a proteggersi ma che dovevano indossarla gli infetti per non contagiare. Poi l'informazione cambia rotta e ci fa sapere che era meglio se l'indossavamo tutti perché "non si sa mai". E così siamo passati dal "mascherina si" al "mascherina quasi quasi..." per ritrovarci in men che non si dica in un drammatico "chi non la indossa finisce al 41bis"( senza contare che chi veramente stava scontando una pena di alto livello di sicurezza, proprio per effetto della guerra contro il virus, si è ritrovato ai domiciliari... come tutti gli altri!) Sarà pure subdolo questo virus, ma non ho mai visto niente di tanto democratico.

E noi abbiamo continuato a bere. Ci siamo fatti ipnotizzare dalle polemiche riguardo una sospettata "ingegnerizzazione del virus", un ottimo ingrediente per rendere ancora più tesa la situazione che, già di per sé, aveva ormai assunto i connotati del fanta-horror. Gli esperti si sono pronunciati, ci hanno raccontato che avevano esaminato ciò che andava esaminato, e che potevamo stare tranquilli perché il virus non era frutto di manipolazione dolosa, ma "come natura crea". Io non mi sono sentito così tranquillo, e non mi riferisco all'ingegnerizzazione del virus, ma all'ingegnerizzazione dell'informazione.

E, ci tengo a precisarlo, non è roba del 2020: la subiamo da sempre. Ma noi abbiamo continuato a bere, assumendo un atteggiamento che scivolava dal "civile responsabile" al "fedele-religioso". Dopo tutto, siamo quelli che pretendiamo di usare un grissino come coltello... per riconoscere la qualità del tonno che abbiamo comprato. Diciamocelo, al biberon delle "verità anti-imbarazzo" ci siamo affezionati. Avremmo già dovuto abbandonarlo da tempo, perché a una certa età sarebbe opportuno smettere di credere alla befana e si dovrebbe sentire il sano bisogno di uno "svezzamento cognitivo", procedere con determinazione e coraggio verso una nuova fase della vita e della storia in cui le favole dell'infanzia non funzionano più.

Noi... Si noi, quelli del grissino...Basta con le frottole! Da un recente sondaggio è venuto fuori che una significativa fetta di italiani alla domanda "chi sono i responsabili della strage di Bologna?" rispondono senza esitare "le Brigate Rosse". Ancora?! Allora proprio non vogliamo crescere? Questo biberon delle verità comode non lo vogliamo riporre sullo scaffale degli oggetti che non servono più? Vogliamo continuare a bere il latte dolce e anestetizzante della VERITA' UFFICIALE ? E va bene, amen.

Oggi, 19 luglio, ricorre il triste anniversario della strage di via D'Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e tutti gli agenti della sua scorta. Lo sento dire in TV, edizione flash pomeridiana. La giornalista conclude con un chirurgico "...non ancora individuati i mandanti". La frase fluttua nel mio appartamento come un enorme zanzara che minaccia di non farmi dormire. Gli italiani? Quasi tutti a trastullarsi col grissino, auto-compiaciuti di aver acquistato un ottimo cibo in scatola. Io? Ho un pò di nausea... credo di essere diventato intollerante al latte.

 

Massimo Cardona