Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
26/07/2020 06:00:00

Se questo è un uomo di fede

di Massimo Jevolella

Eccolo, inginocchiato in preghiera, nel primo venerdì della reislamizzata basilica di Santa Sofia. Ecco il compunto, il piissimo Erdogan, il nuovo sultano turco, nel pieno della sua gloria e al colmo della sua vittoria. Vittoria della fede, lui dice. Ma quale fede? In che senso fede? E chi è realmente quell'uomo che ora – pur senza osare di autonominarsi califfo – si atteggia nei fatti a nuovo emiro dei credenti, a nuovo imàm supremo del mondo islamico sunnita, dopo la fine miseranda di quel mostruoso Al-Baghdadi, di quel capo dell'Isis che davvero sì, s'illuse di recitare la farsa di un Califfato risorto su fondamenta di sangue, di devastazioni iconoclaste, di efferate leggi criminali?

Guardo con dolore – mi perdoni papa Francesco se gli rubo questa semplice e folgorante espressione – le foto di Erdogan trionfante nella “sua” nuova moschea, di quest'uomo che usa la fede come una corazza d'acciaio e come un super-cannone puntato contro i “diversi”, e per salvifica antitesi mi torna alla mente l'immagine di un altro uomo in preghiera. Si chiamava Grazio Gianfreda. Era per tutti don Grazio, il parroco della cattedrale di Otranto, il colto e acuto studioso del meraviglioso mosaico pavimentale di quell'antica chiesa. Ci eravamo conosciuti nei primi anni Ottanta. Eravamo amici. Con viva commozione rammento ogni particolare del nostro ultimo incontro, avvenuto nel maggio del 2004.

Io passavo da Otranto, e andai a cercarlo nella cattedrale. Sapevo che doveva essere lì. E lo trovai infatti, assorto, con un rosario in mano, seduto tra i suoi libri, in un angolo dell'ampia sacrestia che lui aveva adibito a studio. Ero impaziente di porgli una domanda: “Don Grazio, ma al di là dei significati che tu vedi nelle figure del mosaico, mi puoi dire che cosa ancora può insegnarci questa straordinaria opera d'arte?” Lui accolse la mia domanda con un sorriso ispirato.

“C'insegna”, mi disse, “che i popoli possono affratellarsi solo nella cultura, intesa come amore per la reciproca conoscenza. Perché in realtà non esistono barriere, non esistono fratture. Non c'è vera separazione tra nord e sud, tra oriente e occidente. Tutto ha una radice comune. Oggi si parla tanto di globalizzazione, ma il mosaico di frate Pantaleo concentra già qui da più di otto secoli i miti dell'India e della Bretagna, dell'Ellade e della Mesopotamia, dell'Europa e dell'Arabia Felix. Il Cristianesimo del mosaico ingloba in sé la cultura universale. Altro che buio del Medioevo! L'apertura mentale è totale”.

Osservai: “È un bel sogno, don Grazio, ma oggi che cosa possiamo farne di una meraviglia così? Oggi che si decantano i conflitti di civiltà. E poi, scusa, abbiamo qui accanto l'ossario dei Martiri di Otranto, di quegli ottocento cristiani impalati dai turchi il 14 agosto del 1480. Come la mettiamo con queste eredità feroci, con questo Islàm di cui molti cristiani, oggi, hanno ancora paura?”

Rispose: “Esistono soltanto l'uomo e Dio. Dio che è padre, e l'uomo che è figlio. A Dio non interessano le nostre divisioni, le nostre ideologie e le nostre varie opinioni. A Dio non interessano l'economia, la politica, la filosofia, la nazionalità, l'etnia. A Dio, in verità, non interessa nemmeno la religione. Nihil praeter individuum: a Dio interessa solo l'uomo, ogni singola creatura che vive e che soffre, perché in ogni singola creatura vive Dio che gli dà la vita. Se io guardo un qualsiasi uomo negli occhi e vi scorgo l'immagine di Dio, ecco, allora io so amare, e solo allora io sono un uomo di fede”.

Lo salutai con un groppo alla gola. Fu l'ultima volta che vidi don Grazio. Uscii dalla cattedrale di Otranto con l'animo in subbuglio. Un sacerdote mi aveva appena detto che a Dio non interessa nemmeno la religione! Meditai a lungo sulla sapienza di quelle parole, in cui soltanto una mente ottusa potrebbe sospettare l'ombra di un'eresia. E ricordai i versi del grande mistico musulmano Gialàl ad-Dìn Rumi, il fondatore della confraternita dei dervisci ruotanti – che proprio in Turchia, a Konya, ha ancora il suo centro principale – : “Che far dunque o musulmani, ch'io me stesso non conosco?/ Non giudeo sono, né cristiano, né sono zoroastriano o musulmano./ Il mio luogo è l'Oltrespazio, il mio segno è il Senza Segno/ non è anima, non corpo: solo sono dell'Amato!”

Chi è dunque Erdogan con la sua fede ostentata e fanatica? Chi sono tutti coloro che brandiscono i rosari e le preghiere, le professioni, i dogmi e i riti come armi di offesa, o di difesa della loro identità? Don Grazio e Rumi furono forse dei pericolosi “globalisti”? E lo fu anche John Lennon, cara signora Meloni, quando in Imagine cantò: And no religion too? Perché deve farci tanta paura questa frase così chiara, dettata dal puro buon senso? Se la fede non è incondizionato amore, che diabolica invenzione allora è la fede?