Mancavano ancora 3 chilometri per arrivare al suo ufficio in piazza Umberto 1°.
Era l’ufficio del sindaco e lui era Vito Lipari, primo cittadino di Castelvetrano.
Il 13 agosto del 1980 veniva ucciso lungo la strada che collega Triscina alla città, in un agguato mafioso rimasto senza colpevoli e senza movente.
Il figlio Francesco, alle 9,30, commemorerà il padre presso la Stele del Ricordo, con una “piccola cerimonia, assolutamente informale – scrive in una nota - per ricordare a 40 anni di distanza un uomo che per tutta la sua vita, seppure breve, cercò di fare qualcosa per i suoi simili e per la Città che in quel momento aveva l’onore di amministrare”.
L’intenzione è quella di completare quel viaggio. “A fine cerimonia, completeremo, a piedi, quei pochi chilometri che separano il luogo dove Vito Lipari fu orrendamente fermato, fino a Piazza Umberto 1°, luogo dove allora era l'Ufficio del Sindaco – prosegue Francesco - Porteremo e adageremo in piazza Umberto 1° un cuore di rose in suo ricordo e in devozione alla città di Castelvetrano, Quella Devozione che Vito Lipari aveva per la città che amministrava e per i suoi concittadini. In nome dei suoi concittadini non abbassò mai il capo, accettando molto probabilmente in maniera consapevole, il rischio, in quei tempi tremendi, che la sua scelta avrebbe comportato”.
Abbiamo incontrato Francesco Lipari, al quale abbiamo fatto qualche domanda.
Un evento così tremendo, accaduto in un periodo molto più difficile rispetto ad oggi, ha prodotto una sorta di annichilimento che è durato per molti anni. E’ così?
Sì, per anni io e la mia famiglia siamo rimasti in silenzio, impietriti da questo evento terribile che mai ci saremmo aspettati. Purtroppo non ci siamo costituiti parte civile, ma non era come adesso. Era un periodo in cui non si sapeva mai niente e lo sgomento in quel caso inibì qualsiasi reazione. Ero un bambino di 11 anni e soltanto recentemente ho cominciato ad elaborare il lutto, anche attraverso un percorso psicologico che mi ha aiutato tantissimo.
L’omicidio Lipari è rimasto senza colpevoli e senza movente. Che idea si è fatto?
Non ho mai creduto a segreti e misteri. Così come non mi ha mai convinto che il motivo della sua morte possa essere ricondotto semplicemente alla sua vicinanza ai cugini Salvo.
Falcone diceva “segui i soldi”. E all’epoca mio padre, essendo stato sindaco della città in diversi mandati, ne gestiva tanti, occupandosi di decine di appalti in provincia.
Adesso soldi ai comuni non ne arrivano quasi più, ma un tempo era diverso. Ed io sono convinto che mio padre fu ucciso per i soldi. Cercava di fare le cose giuste, non faceva “mangiare” né gli amici né i nemici. E soprattutto non prese mai una lira per sé. Forse, se lo avesse fatto, adesso sarebbe ancora vivo e noi saremmo una famiglia ricca.
Per questo delitto, nel 1985 vennero condannati all’ergastolo Mariano Agate e i catanesi Nitto Santapaola, Francesco Mangion e Rosario Romeo. Nel 1992 però vennero assolti in appello, con sentenza confermata in Cassazione nel ’93. Anche lei è convinto che non c’entrassero nulla?
Assolutamente sì. Che cosa è materialmente accaduto quel giorno è stato descritto perfettamente dal collaboratore Vincenzo Sinacori, che ha fatto i nomi di Andrea Gancitano, Giovanni Leone e Antonino Nastasi. Anche se, nonostante la buona credibilità del pentito, non è stato possibile trovare riscontri specifici sufficienti per una loro responsabilità penale. E quindi sono stati assolti.
Il risultato è che oggi, dopo 40 anni, non c’è nessun colpevole e nessun movente.
Antonino Nastasi è quello dell’Ecol Sicula, l’azienda che si occupava dei rifiuti? Qualche anno fa gli furono confiscati beni per 4 milioni di euro.
Esatto. Ed è nella campagna di quest’ultimo, come ha riferito un collaboratore di giustizia, che è stato nascosto l’esplosivo che sarebbe poi stato utilizzato per gli attentati mafiosi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Ormai sappiamo bene come una parte della mafia stragista sia appartenuta proprio a Castelvetrano. A Caltanissetta si sta svolgendo il processo che vede imputato Matteo Messina Denaro tra i mandanti delle stragi del 1992. Ecco perché parlo di castel-corleonesi.
Che cosa si aspetta dai castelvetranesi?
Mi piacerebbe che i castelvetranesi lo ricordassero come vittima della mafia, come lo furono Michele Reina, Piersanti Mattarella, Giuseppe Insalaco. Anche loro democristiani che si opposero a quella parte della Dc che pensava soltanto al proprio interesse personale.
Qui non c’entra la politica, la Dc, il potere… Ed è comodo nascondersi dietro le prudenze ed i purismi a causa della vicinanza che mio padre aveva con i cugini Salvo. Molti fanno l’errore di non contestualizzare il ruolo dei Salvo all’epoca, punti di riferimento per la Dc e per tantissimi politici.
Ripeto, mio padre non ha mai preso una lira per sé. Questo è certo. Come è certo che ad ucciderlo sia stata la mafia locale.
Egidio Morici