Oggi 13 agosto è il giorno del 40° anniversario dall'omicidio di Vito Lipari. Sul luogo dell'omicidio, presso la Stele del Ricordo, sarà celebrata una piccola cerimonia informale, per ricordare a 40 anni di distanza l’ex sindaco di Castelvetrano.
Chi era Vito Lipari - Dirigente del Consorzio sviluppo industriale di Trapani era dirigente della Democrazia Cristiana, fu sindaco di Castelvetrano per la prima volta dal 1974 al 1976. Vicino alle posizioni dell’allora ministro della Difesa, Attilio Ruffini e vicino politicamente ai cugini Salvo di Salemi. Tornato sulla poltrona di sindaco dall’ottobre 1978 all’aprile 1979, alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 risultò primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista DC nella circoscrizione Sicilia Occidentale, dove ottenne ben 46000 preferenze. Divenuto segretario provinciale della DC e nuovamente sindaco da appena un mese, venne assassinato il 13 agosto 1980, dopo essere uscito dalla sua casa di Triscina, a colpi di pistola tra cui quello di grazia alla testa.
Le indagini – Per il delito Lipari nel giro di poche ore vengono fermati dai carabinieri all’ingresso di Mazara del Vallo i mafiosi Mariano Agate, capo della cosca di Mazara del Vallo, Nitto Santapaola, capo della cosca di Catania, Francesco Mangione e Rosario Romeo, che vengono arrestati. Santapaola e i suoi compagni di viaggio non vengono neanche sottoposti al guanto di paraffina perché egli stesso dichiara di aver partecipato, il giorno precedente, ad una battuta di caccia a casa di un amico di Catania. Il capitano Vincenzo Melito, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Trapani, si reca quindi a Catania per verificare gli alibi, e al suo ritorno i quattro vengono scarcerati dal magistrato pro-tempore.
Le rivelazioni parziali - Solo nel 1984 viene svelata una parte dei fatti: nell'interrogatorio sarebbe emerso che Santapaola era andato in provincia di Trapani per risolvere dei problemi che aveva l'imprenditore edile Gaetano Graci (l'amico di cui non era stato fatto il nome nel 1980), il quale aveva degli interessi nel trapanese per conto di "personaggi al di sopra di ogni sospetto". Contemporaneamente, Melito viene arrestato con l'accusa di aver avallato il falso alibi di Santapaola in cambio della stessa automobile su cui il boss catanese e i suoi amici erano stati trovati il giorno dell'omicidio di Lipari; condannato in primo grado a due anni per corruzione, sarà in seguito assolto poiché il fatto non sussiste dalla Corte d'assise d'appello di Palermo con sentenza confermata in Corte di Cassazione.
I processi e le autoaccuse dell’omicidio - Nel 1985 nel processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano vengono condannati in primo grado all'ergastolo Nitto Santapaola, Mariano Agate, Francesco Mangion e Rosario Romeo per l'omicidio di Vito Lipari, ma poi assolti nel 1992 in appello a Palermo, con sentenza confermata in Cassazione nel 1993.
Nel 1992 il pentito castelvetranese Vincenzo Calcara si autoaccusò dell'omicidio di Lipari e rivelò che il mandante era l'allora consigliere comunale di Castelvetrano Antonino Vaccarino, perché "bramoso di divenire primo cittadino", accusandolo anche di essere affiliato alla cosca di Castelvetrano, nella quale avrebbe ricoperto il ruolo di consigliere del boss Francesco Messina Denaro. Arrestato, Vaccarino fu poi assolto da quell'accusa, mentre Calcara fu ritenuto inattendibile. Nell'aprile 2019, al processo di Caltanissetta, il collaboratore di giustizia mazarese Vincenzo Sinacori si autoaccusò del delitto, affermando di averlo compiuto su indicazione dei corleonesi.[
Le piste seguite per il delitto Lipari - Una conduceva ad un «segnale» (di morte) mandato dai boss di di Cosa Nostra alla “famiglia” degli esattori Salvo ai quali Lipari, esponente di punta della Dc, era «politicamente» legato. Un’altra pista è legata al piano di ricostruzione del Belice, e in particolare quella che riguardava la zona di Castelvetrano, individuato sulle carte della ricostruzione come IV comprensorio, interessava 10 Comuni e 80 mila ettari. Ci sarebbero state due planimetrie per quella ricostruzione, una quella ufficiale, l’altra quella voluta dai mafiosi, terreni sui quali non si doveva costruire, dove, invece si è costruito, e dunuque terreni che hanno preso un grande valore.
Possibile collegamento con l'omicidio Mattarella - E le indagini prendono una svolta clamorosa, perché accertano che il piano del quarto comprensorio del Belice può essere la causa anche dell’assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, ucciso il 6 gennaio 1980. Gli inquirenti sono convinti, infatti, che tra gli omicidi Mattarella e Lipari ci sia un collegamento diretto. Dalle prove balistiche risulta che i proiettili che hanno ucciso il presidente della Regione presentano sorprendenti analogie con quelli estratti dal cadavere di Lipari. Più tardi si scopre che la stessa P38 special è stata utilizzata per portare a termine anche un altro delitto mafioso. Ma esistono altri motivi per ritenere che i due omicidi abbiano la stessa matrice. Piersanti Mattarella aveva voluto rivedere, a partire dall’autunno 1979 i piani di ricostruzione del Belice, e sul famoso piano numero quattro aveva fissato la sua attenzione, perché aveva deciso di scoprire da chi e per quale motivo era stato falsificato.
Un cuore di rose per Vito Lipari, oggi la manifestazione – Oggi la famiglia di Lipari ha organizzazato una manifestazione per ricordare l’ex sindaco. Noi abbiamo abbiamo intervistato il figlio Francesco e proprio oggi pubblichiamo l’intervista che potete leggere qui. Così presenta il figlio l'evento e così racconta il padre: “un uomo che per tutta la sua vita, seppure breve, cercò di fare qualcosa per i suoi simili e per la Città che in quel momento aveva l'onore di amministrare. Vito Lipari fu ucciso a circa 3 chilometri da Castelvetrano, mentre dalla sua casa di villeggiatura, si recava - come ogni giorno - a svolgere il dovere che la sua carica di Sindaco richiedeva, non c'erano ferie per Vito Lipari. Quel giorno non arrivò mai nel suo ufficio, poiché venne barbaramente trucidato dalla famiglia mafiosa stragista castelvetranese, alle porte della città. E' nostra intenzione COMPLETARE QUEL VIAGGIO. A fine cerimonia, completeremo, a piedi, quei pochi chilometri che separano il luogo dove il Vito Lipari fu orrendamente fermato, fino a Piazza Umberto 1°, luogo dove allora era l'Ufficio del Sindaco. Porteremo e adageremo in piazza Umberto 1° un cuore di rose in suo ricordo e in devozione alla città di Castelvetrano, quella Devozione che Vito Lipari aveva per la città che amministrava e per i suoi concittadini. In nome dei suoi concittadini non abbassò mai il capo, accettando molto probabilmente in maniera consapevole, il rischio, in quei tempi tremendi, che la sua scelta avrebbe comportato”.
Sull'omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari ne parla ampiamente il generale dei Carabinieri Nicolò Gebbia a proposito dell'arresto del boss mazarese Mariano Agate (potete leggere l'articolo completo qui) - E qui di seguito una sintesi. "L'uccisione del sindaco Vito Lipari e gli arresti - "Mariano Agate fui proprio io ad arrestarlo, per l’ultima volta, nel 1982, e da allora è uscito di galera solo per andare a morire fra le braccia di sua moglie. L’arresto precedente risaliva al giorno prima del mio arrivo a Marsala, quel 13 agosto 1980 in cui, poche ore prima, era stato ucciso Vito Lipari, sindaco di Castelvetrano. Il Radiomobile di Marsala ebbe ordine di attuare il piano provinciale dei posti di blocco, ma il luogo in cui avrebbe dovuto essercene uno, a sud di Marsala, in quei giorni era oggetto di ingenti lavori stradali. Fu così che il capo equipaggio, con spirito d’iniziativa, si spostò un po’ più a sud, dove confluiva sulla statale una comunale che, se percorsa tutta, avrebbe condotto, sempre lungo itinerari minori ed alternativi, al punto in cui il sindaco aveva perso la vita. La prima macchina che fu fermata era una grossa Renault, 3000 di cilindrata, a bordo della quale viaggiavano Nitto Santapaola, Francesco Mangion e Rosario Romeo, provenienti da Catania, insieme con Mariano Agate. Il pretore di Mazara del Vallo, Umberto De Augustinis, decise di arrestarli tutti e furono rinchiusi nel carcere di Marsala".
Tutti scarcerati - Agate, sottoposto alla sorveglianza speciale, andava in giro con la patente di guida del fratello. Per questo reato il presidente della corte penale di Marsala, tanto amico di Sciascia che quest’ultimo coniò il termine di “professionisti dell’antimafia” proprio quando Paolo Borsellino gli fu preferito come Procuratore, accettò per buona la tesi che erano stati i figli dei fratelli Agate a scambiare per gioco i documenti dei loro genitori, che furono assolti, mentre il magistrato diceva ai bambini:“Non lo fate più”.
L'assoluzione per Santapaola e Agate e la confessione di Sinacori - "Da Catania, poi, giunsero importanti miei colleghi per sollecitare la scarcerazione di Santapaola, asseritamente loro prezioso confidente. Infine l’ufficiale mandato a controllare l’alibi dei catanesi, positivi al guanto di paraffina perché il giorno prima erano stati a caccia in riserva con un magistrato del luogo, riscontrò la veridicità di tutto ciò e, contemporaneamente, permuto’ la sua 131 Mirafiori con la Renault utilizzata da Santapaola ed Agate al momento dell’arresto. Toccò a me andarlo ad arrestare a Messina anni dopo, ma, comunque, alla fine e’ stato assolto, così come lo stesso Agate, con sentenza passata in giudicato. L’anno scorso il pentito Vincenzo Sinacori (da me arrestato il 7 marzo del 1981, dopo uno sbarco di droga a Torretta Granitola) ha dichiarato di essere lui il killer di Vito Lipari e di aver agito per ordine dei corleonesi. È evidente per chiunque conosca uomini e fatti, che, se le cose stanno davvero così, Sinacori non poteva che aver eseguito un ordine dell’Agate".