Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
31/08/2020 12:46:00

Coronavirus: scoperto il meccanismo che causa la morte nei pazienti in terapia intensiva

 Uno studio italiano, capofila il Policlinico di Sant'Orsola, descrive il meccanismo responsabile della elevata mortalità iin Terapia intensiva dei pazienti con Covid-19.

Due semplici esami identificano questa condizione la cui diagnosi precoce, assieme al supporto del massimo delle cure possibili in terapia intensiva, può portare un calo della mortalità fino al 50%.

Lo studio dimostra che il virus può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli (le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica) e i capillari (i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno). Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti. Quando il virus danneggia o gli alveoli o i capillari a morire è poco più del 20% dei pazienti. Il “fenotipo” dei pazienti in cui il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari (pazienti col “doppio danno”) è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone < 40; valore normale 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero > 1800; valore normale 10).

Questi risultati hanno importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici per i pazienti con COVID-19. Infatti, oggi il riconoscimento rapido del fenotipo col “doppio danno” consentirà una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie ancora più efficace, riservando a questi malati le misure terapeutiche più “aggressive” quali la ventilazione meccanica, la extra-corporeal membrane oxygenation (l’ECMO) e gli ambienti terapeutici a maggiore intensità di cure quali le terapie intensive) trattando invece con la ventilazione non invasiva col casco e il ricovero in terapia sub-intensiva i pazienti con “danno singolo”. Nel futuro questi risultati consentiranno di identificare rapidamente i pazienti in cui testare trattamenti sperimentali con anti-coagulanti per prevenire il danno ai capillari polmonari.
Lo studio é stato condotto su 301 pazienti ricoverati presso il Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, Azienda Ospedaliero - Universitaria di Modena Policlinico di Modena, Ospedale Policlinico di Milano, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda e HUMANITAS Research Hospital, ASST Monza - Azienda Socio Sanitaria Territoriale Monza e il Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Lo studio è stato coordinato dal Prof. Marco Ranieri direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico di S. Orsola. Lo studio ha visto anche il coinvolgimento del Prof. Franco Locatelli dell’ Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del CTS. Ampia la collaborazione tra diverse discipline (anestesia e rianimazione, pneumologia, radiologia, onco-ematologia, statistica medica) e diverse Università italiane ( Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Unimore - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Università degli Studi di Torino, Humanitas University - Hunimed, Università Cattolica del Sacro Cuore ed estere ULB - Université libre de Bruxelles, University of Ireland Galway e University of Toronto.