“Ora ti faccio vedere il malaseno (magazzino ndr) dei latitanti antichi dello zio di Felice Errante… Felice Errante aveva lo zio latitante”.
A parlare è Franco Martino, intercettato nel settembre 2012, quattro mesi dopo essere diventato consigliere comunale di Castelvetrano con ben 415 voti. E’ una delle sue tante conversazioni con Lillo Giambalvo (che invece diventerà consigliere due anni più tardi, da primo dei non eletti, a sostegno dell’allora sindaco Errante).
“C’è stato una vita là – prosegue Martino - e ci portavano a mangiare in questo malaseno, ora tu insigno (ora te lo faccio vedere ndr)”.
Ma per Giambalvo il posto non è nuovo. E quando il suo amico glielo indica, dicendo “Questa è la casa dei latitanti”, lui risponde prontamente:
“E più in avanti, entrando lì dentro questo cancello, là sotto ci sono un paio di case che io ci ho fatto un mare di mangiate”.
Si tratta di un vecchio baglio, precisano gli investigatori, nella vasta contrada Rampante Favara di Castelvetrano. E sulla parentela dell’ex sindaco, riportano alcune informazioni.
Il latitante era uno zio di secondo grado: Mario Errante, nato nel 1910.
“Aveva pregiudizi per pascolo abusivo, minacce, porto abusivo di coltello, furto, danneggiamenti e inviato al confine per 5 anni”.
Inoltre, in una vecchia proposta di diffida del 1957, veniva indicato come “pericoloso, pregiudicato, e affiliato alla mafia e si era servito di tale Messina Francesco per portare a compimento ricatti in danno di benestanti del luogo tacitati dal terrore”.
Aggiungono anche che “esercitava una non ben definita attività di campiere o guardiano nelle proprietà di Agate Giovanni e tale Centonze di Castelvetrano, unitamente al proprio figlio Gaspare che aveva già dimostrato una spiccata inclinazione a delinquere”.
I carabinieri forniscono anche delle informazioni sul nonno dell’ex sindaco, che ha il suo stesso nome:
“L’avo paterno, Errante Felice, in una vecchia nota rintracciata agli atti dell’Arma, risultava essere stato mandato in confine e sorvegliato speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di Valfortore (BN) nonché diffidato per avere pregiudizi per furto, pascolo abusivo, un arresto per essere assegnato al confino di Polizia per anni tre, associazione per delinquere, sequestro di persona, omessa denuncia e porto abusivo di armi (per il quale il 26.10.1949 è stato denunciato dal Nucleo di P.G. dell’Arma di Partanna in stato di irreperibilità) e rapina aggravata. Aveva svolto l’attività di capraio, poi quella di “carrettiere” e infine quella di “”campiere” (c.d. protettore) nell’azienda agricola sita in località Madonna Bona di Mazara del Vallo alle dipendenze dei possidenti De Rosa – Briuccia e veniva indicato in collegamento con i noti mafiosi Marotta Antonino, Messina Denaro Francesco, Messina Giovanni, Filardo Michele, Rizzo Nicolò e Messina Francesco”.
E’ bene precisare che l’arresto dell’ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante nell’operazione Artemisia del 21 marzo 2019, non ha niente a che vedere con fatti di mafia.
E se le colpe dei padri non possono ricadere sui figli, figuriamoci quelle degli zii e dei nonni, a prescindere dall’interesse pubblico che comunque possono avere le storie familiari di chi ha rivestito dei ruoli apicali nell’amministrazione di una città.
Soprattutto se queste si legano a personaggi come Francesco Messina Denaro, padre dell’attuale latitante Matteo. Oppure ad Antonino Marotta, definito dagli investigatori il “decano” della mafia trapanese, che ha fatto parte della banda di Salvatore Giuliano.
Franco Martino però, in un’altra intercettazione dello stesso periodo, sempre rievocando con Giambalvo alcuni episodi del passato, transitando in macchina vicino una casa in contrada Canalotto, racconta anche di aver gestito la latitanza di un palermitano e di aver continuato a frequentarlo una volta tornato al Ballarò di Palermo.
“La vedi questa casa qua… qua in questa casa qua – dice Martino – c’era un latitante amico mio. Sette anni c’è stato lì. Io ci portavo a mangiare tutte cose… e lui aveva un fucile e ce ne andavamo la notte a caccia qua e ne prendevamo due, tre, sempre a girare intorno, stavamo tutta la notte a caccia… minchia… lui sparava e io portavo la macchina.”
Una latitanza “breve”, se paragonata a quella di Matteo Messina Denaro che dura da 27 anni,
Ma forse sufficiente a creare un legame di amicizia: “Sette anni l’ho tenuto… sette anni… poi sono andato io a lasciarlo a Palermo”.
Gli investigatori non sono riusciti a dare un’identità a questo latitante che, secondo il racconto di Martino, si chiamava Settimo, essendo anche l’ultimo di sette fratelli, condannato a ventotto anni e sei mesi, anche se consegnatosi poi alla giustizia, si sarebbe fatti soltanto 7 anni di carcere.
“Minchia… bravo ragazzo, mi devi credere. Però… ormai è finita, si è consegnato”, aggiunge Martino.
Certo, un racconto non riscontrato, senza alcuna rilevanza penale.
Ma anche se si trattasse di una frottola per darsi un tono con Giambalvo, che invece gli raccontava di aver incontrato perfino Matteo Messina Denaro in un tripudio di commozione (“ci siamo fatti mezz’ora di pianto”), il dato più singolare è che Franco Martino nel 2012 fu eletto consigliere comunale con 415 voti. Un consenso strepitoso e delle qualità nascoste, evidentemente lontane dai comizi roboanti nelle piazze.
Egidio Morici