I terribili fatti di Trapani, dove, una ragazza di appena 17 anni ha partorito senza l’aiuto di nessuno, nemmeno dei genitori, nel bagno della propria casa e subito dopo ha gettato il neonato dalla finestra, impongono una profonda riflessione, perché è un qualcosa che riguarda tutta la società, che in qualche modo deve interrogarsi su quanto accaduto. Abbiamo chiesto a tre professioniste nel campo della comunicazione, nell’ambito medico clinico e sociale, di darci il loro parere e la loro riflessione su una vicenda che riguarda tutti, i nostri ragazzi, il nostro futuro.
Lilli Genco, giornalista: "Davanti a fatti di questo genere si rimane attoniti e ci si fanno mille domande, sulla presenza della famiglia, sulla fragilità che vivono i nostri adolescenti. Ho cercato, come spesso si fa in questi casi, il profilo social della ragazza e ho visto un profilo molto popolato, uguale e come quello di tante ragazze, con tante foto belle e ho pensato che spesso noi utilizziamo i social per dare un’immagine di noi o per nasconderci dietro quell’immagine e devo dire e condivido quello che ha detto il vescovo e condivido: noi spesso ci fermiamo sulla comunicazione, anche in famiglia, manca la comunione, siamo coperti da una valanga di informazioni, magari parliamo, ma in realtà non ci ascoltiamo davvero e non siamo connessi l’uno con l’altro. Quanto accaduto a Trapani ci dice del mistero nell’animo delle persone e ci dice anche che noi non siamo una società - ci mettiamo tutti dentro – capace di ascoltare i nostri ragazzi. Questo fatto è avvenuto, come spesso capita in questi casi, in una famiglia apparentemente e assolutamente normale e potrebbe capitare, e questa è la cosa che ci inquieta, in ogni famiglia. Non c’è una situazione di disagio economico né una condizione di disagio particolare e qui entriamo davvero nella nostra fragilità relazionale ed educativa".
Giorgia Di Giovanni, psicologa: "Ciò che è accaduto a Trapani ci pone di fronte ad una terribile realtà che ci fa dire che davvero spesso noi non sappiamo nulla dei nostri figli. Quando i bambini sono piccoli la cosa che spesso fa sorridere, è che ci si limita a dire a chi somiglia, ma già da allora ci dimostrano che sono altro da noi. I bambini man mano che crescono sono un mistero a se e per quanto noi ne vediamo la somiglianza, è normale, la biologia e la genetica hanno la loro parte, ma poi c’è qualche cosa che dobbiamo riconoscere e l’errore che facciamo dipende dal nostro egoismo, è che li consideriamo un nostro prolungamento ed è in questo che commettiamo gli errori da genitori. Una frase che mi è tornata in mente e con la quale apro spesso gli incontri con i genitori, con insegnanti, è un proverbio africano che dice: “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Questa dimensione è bellissima, purtroppo si è completamente persa, anche perché quell’idea di villaggio, di comunità che si prende cura di un bambino, di un giovane adolescente, è stata sostituita dal villaggio mediatico che in realtà è una giungla, un luogo a rischio dove i ragazzi si perdono. Mi è venuta in mente un’altra storia del 2014, quando una ragazza di Marsala di diciassette anni, Simona, si è tolta la vita. Questi gestri estremi degli adolescenti gridano aiutoe ovvio quello che suscita in noi è diverso. Quando i ragazzi si esprimono con questi gesti estremi testimoniano il fallimento di tutta la comunità. Poi nelle scuole, dove, nonostante si dica che è necessaria la figura dello psicologo, non c’è una scuola che abbia una stanza per lo psicologo e non è una presunzione per dire voglio il mio spazio, la mia stanza, è un significato simbolico importante. I ragazzi meritano uno spazio di ascolto diverso, e non adattato, ci vuole un spazio contenitore che la società oggi non è in grado di offrire".
Valentina Colli, presidente provinciale dell’UDI (Unione Donne Italiane): "Quanto accaduto a Trapani è un qualcosa che riguarda la responsabilità collettiva, perché chi si occupa, a vario titolo della politica e ad eleggere la politica, deve necessariamente interrogarsi sugli strumenti che si danno ai giovani; in questo caso si tratta di una ragazza, tra l’altro con un background familiare medio alto. Purtroppo questi fenomeni sociali e di violenza, anche questa è una violenza in qualche modo, sono trasversali. Sicuramente è un fatto che ha sconvolto, non è il momento del giudizio, sicuramente ci penseranno i magistrati dal punto di vista della giustizia e della legalità. Devo dire che ho visto sui social anche alcuni giornalisti che hanno detto: “io ti perdono”. Sicuramente non spetta alla società perdonare, non spetta alla società condannare, spetta alla società interrogarsi. Parliamo di una ragazza di 17 anni che sicuramente. oggi, ha più strumenti per affrontare queste situazioni, ma dobbiamo chiederci se sono corretti, se bastano per i nostri giovani e se sono efficaci. Forse avrebbero bisogno di una corretta educazione sessuale, che ancora oggi nelle scuole è demandata alla buona volontà dei professori di biologia o a quelli di religione.
Purtroppo dobbiamo chiederci perché non c’era comunicazione tra la ragazza e i genitori. A volte c’è pudore e perfino paura da parte dei figli a comunicare determinate cose ai genitori. Il dramma vero, se questa ragazza era a conoscenza e non dubito che ne fosse a conoscenza, è che questa ragazza non ha avuto un interlocutore, uno che fosse: una compagna di banco, un professore, e non ha avuto un accompagnamento sociale. A me non piace dire l’avevamo detto, ma noi come UDI in quasi tutte le competizioni elettorali abbiamo detto alla politica di iniziare a interessarsi dei consultori. Questi devono essere necessariamente uno dei primi luoghi di informazione, di incontro, anche di aiuto, a cui i nostri giovani, le nostre ragazze e le nostre donne di tutte le età devono sapere di potersi rivolgere, senza avere un approccio giudicante. Questa ragazza ora dovrà recuperare se stessa ma la mia grande preoccupazione è: chi potrà darle un aiuto? Nei consultori spesso guardano se hai la fede al dito, anche in ospedale c’è un atteggiamento giudicante e stereotipato, mi chiedo chi potrà prenderla per mano, in maniera fuori dagli schermi, dagli stereotipi, fuori dal giudizio. La politica cittadina deve interrogarsi e soprattutto creare quei luoghi dove la collettività possa crescere e dare sostegno serio, laico, a questi ragazzi. Oggi la famiglia non è più la prima ed unica agenzia educativa. Diamo a questi ragazzi gli strumenti corretti, mi chiedo proprio se questa ragazza sapeva che c’era un consultorio, dov’era, e che numero fare. Prima di arrivare al parto in anonimo".