E dopo il servizio “scoop” del Tg1, Matteo Messina Denaro è quasi come Mina.
Della cantante, scomparsa dal palcoscenico nel 1978, ci sono solo degli scatti rubati, ma lei continua ad essere una delle protagoniste della musica italiana.
Certo, non una carriera artistica, ma criminale, quella del boss di Castelvetrano, oggi “impreziosita” dalla sua voce, trasmessa in esclusiva dal Tg1, contenuta in una videocassetta trovata nell’archivio del Tribunale di Marsala, grazie al lavoro dell’Associazione Antimafie Rita Atria e della testata Le Siciliane.
In quell’audio del 18 marzo del 1993, Messina Denaro testimonia al processo Accardo, su uno dei tanti di omicidi di mafia a Partanna. Il pubblico ministero gli chiede se ricorda di essere stato sentito dalla squadra mobile di Trapani, dopo la morte di un certo Accardo Francesco da Partanna. “Guardi – risponde - io, in quel periodo, ho subito decine di interrogatori per ogni omicidio che è successo”. Due mesi e mezzo dopo, come tutti sanno, inizierà la sua latitanza.
Ma è davvero così importante oggi sapere che voce avesse il boss di Castelvetrano nel 1993?
Lo sarebbe forse in caso di comparazione con altre voci intercettate, in cui si ha il dubbio della sua presenza, magari sotto un’altra identità.
Peccato non sia affatto un nuovo elemento per le indagini sulla sua cattura. Sì, perché la sua voce registrata gli inquirenti ce l’hanno già. E anche da un bel po’, come ha sottolineato al Tg1 il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho:
“Nei suoi confronti, le indagini di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza, si sviluppano da oltre un ventennio e quindi è evidente che anche loro hanno documenti comparativi anche sonori, idonei a effettuare comparazioni”.
E quindi no, quell’audio non è così importante.
Lo “scoop” del Tg1 è allora giustificato dall’inedito verbale di interrogazione?
Nemmeno, visto che di questo verbale lo stesso Tg1 ne aveva già parlato nel giugno scorso, in un altro “scoop” sull’ultima deposizione del capomafia da uomo libero (sempre ripescata dall’associazione Rita Atria e dalla rivista Le siciliane).
Ultima, ma non unica.
Esiste infatti un altro interrogatorio, ritrovato da Lirio Abbate ed inserito nel suo libro “U sicccu”.
Risale al 30 giugno 1988. “Sono il quarto dei sei figli di Messina Denaro Francesco – dice ai poliziotti del commissariato di Castelvetrano – l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi…”.
E anche se il libro di Abate ha avuto molto successo, questo verbale è un po’ meno conosciuto. Anche perché è senz’audio.
Intanto la latitanza di “u siccu” prosegue. Siamo vicini alla sua cattura?
“Io non ho fiducia che si possa catturare Messina Denaro”, ha risposto Maria Teresa Principato, della Direzione Nazionale Antimafia ed ex procuratore aggiunto di Palermo che si è occupata delle indagini sulla latitanza.
Al TGR Sicilia, ha spiegato come il boss goda di “una rete, non solo in Italia, ma un po’ in tanti Paesi del mondo, che lo protegge”. “Una rete massonica”, ha sottolineato.
Egidio Morici