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02/04/2022 11:00:00

Bullli, pupe e "cazzuttuna"

Qual è il limite di una battuta satirica?

Un comico fino a dove può spingersi scherzando sulle disgrazie altrui?

A queste domande non è così semplice dare una risposta. La satira per sua stessa natura può essere offensiva, graffiante, sarcastica, trasgressiva, dissacrante, paradossale.

Prendiamo il caso del famoso ceffone dato da Will Smith alla premiazione degli Oscar, la satira ha tutto il diritto di offendere, se vuole farlo e può capitare che qualcuno si offenda magari con una battuta mal riuscita.
La satira è una provocazione intellettuale che suscita un senso di disagio psicologico nel quale è celato un messaggio più o meno evidente.

Chiunque e qualsiasi cosa può essere oggetto di sarcasmo e da questo punto di vista, la quantità e la qualità della satira rappresenta un indicatore del livello di democrazia della società. La distorsione e la rappresentazione in termini paradossali dei fatti e delle persone sono l’obiettivo principale della satira, come accade nelle vignette caricaturali delle Charlie Hebdo.

Fino a qualche giorno fa sconoscevo l'esistenza di Pietro Diomede, il comico recentemente venuto alla ribalta per un vergognoso tweet in cui si faceva dark humor sulla morte di Carol Maltesi, la donna vivisezionata e gettata in cinque sacchi della spazzatura. 
È vero che il presupposto della satira è l'irriverenza ma questa non può diventare una scusa per una enorme mancanza di rispetto soprattutto nei confronti del dolore dei familiari della vittima. Un messaggio intriso di maschilismo, squallore e che sottintende un messaggio del tipo: “pornostar = troia”.

Quando un abuso del linguaggio configura una violenza?

La violenza verbale non lascia lesioni fisiche o cicatrici esteriori per questo motivo è difficile da identificare, da individuare.
Insulti, umiliazioni, critiche volgari, minacce, accuse, appellativi denigratori, giudizi diffamatori sono tutti esempi di aggressioni verbali che hanno come unico intento quello di ledere la dignità e la reputazione o la sottomissione della vittima.

Esiste una soglia verbale che giustifica la violenza fisica?

La risposta è semplice ma articolata: La violenza fisica non è MAI giustificata anche se lo scopo dell’aggressione verbale può essere l’umiliazione verbale della vittima. A chi non è capitato di doversi difendere da accuse che travalicano la naturale dialettica del confronto, ci sentiamo fisicamente feriti quando accade e reagire a un'aggressione verbale non è mai semplice, soprattutto quando sono coinvolte le emozioni. I rapporti sociali sono basati sul rispetto, nessuno ha il diritto di aggredire sia fisicamente che verbalmente un'altra persona.

La varietà della capacità espressiva è il valore della comunicazione umana, la qualità e la quantità delle parole ci distingue l’uno dall’altro e i termini usati qualificano le nostre idee. Nell'era dei social, dei tweet, delle chat e dei post saper articolare un concetto per affermare le proprie idee è una verità irrinunciabile. Il linguaggio modella i pensieri, esprime gli stati d’animo e qualifica le azioni, le parole usate possono cambiare radicalmente la prospettiva dell’azione e della relazione.

Essere più consapevoli nell'uso delle parole influisce sulla qualità della nostra vita, determina il nostro processo di elaborazione mentale e distingue il flusso della comunicazione nelle nostre relazioni quotidiane. 

È retorico affermare che le parole hanno un peso e possono ferire tanto quanto un’arma ma è una verità incontestabile e nella comunicazione la scelta delle parole adatte riveste un momento definitivo e irrevocabile.
Il linguaggio è come uno specchio che riflette la nostra immagine e saper dosare le parole nella descrizione di un pensiero è parte fondamentale della nostra esistenza.

"Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare", perché essere restii al cambiamento ci esclude da una nuova consapevolezza nella lingua come nella vita.

Giancarlo Casano