L’ultimo report viene dalla fondazione OpenPolis. La Sicilia è la principale beneficiaria dei fondi del Pnrr nel settore Cultura: 175 milioni di euro. Dei quali quasi sessantadue per l’attrattività dei borghi, nove per l’efficientamento di cinema, teatri, musei, 104 milioni per il restauro dei luoghi di culto. È la Regione dove sono arrivati più soldi sul totale del miliardo e mezzo stanziato.
Prima ancora, è stato uno studio del professore Giancarlo Viesti, con l’Università di Bari, a certificare che addirittura la città in Italia che ha gli importi più elevati per abitante nell’ambito del Pnrr è Trapani, in cima alla graduatoria con 2874 euro per abitante.
Un gran fiume di soldi sta arrivando verso il Sud e la Sicilia. Politici ed amministratori fanno a gara per prendersi il merito, facendo i conti con il pallottoliere sulla quantità di finanziamenti in arrivo. Il problema è che tutti stanno alla larga sull’altra domanda. Che non è quanti soldi arrivano. Ma, piuttosto, come vengono spesi.
Ed è su questo avverbio scivoloso, il “come”, che nascono le perplessità. Già i dati del Ministero della Cultura, a leggerli bene, raccontano una sproporzione: per il restauro delle chiese, si spende undici volte in più rispetto al recupero o alla costruzione dei teatri e dei musei. Come è possibile? È semplice. Gli edifici di culto appartengono al Fec, l’apposito fondo istituito presso il ministero dell’Interno. La gestione avviene a Roma. Da lì partono i progetti. Solo in provincia di Trapani verranno spesi ventidue milioni di euro per il restauro di ventuno chiese.
Teatri e musei, invece, appartengono a Comuni, Fondazioni, o alla Regione Siciliana. I progetti presentati sono stati pochi, e per lo più bocciati. E quello che sta mettendo in luce la complessa vicenda del Pnrr in questi mesi è proprio che a livello locale, nel profondo Sud, ci sono evidenti lacune nella capacità di progettazione. Tutti vogliono i soldi, nessuno sa come spenderli, alcuni si inventano le idee più strampalate. Gli esempi già sono tanti.
Si comincia dal primo campanello di allarme, che suonò ad ottobre del 2021 quando il ministero delle Politiche agricole dichiarò inammissibili tutti e trenutno i progetti presentati dai consorzi di bonifica della Regione Siciliana (circa 423 milioni di euro di opere) per la realizzazione di infrastrutture irrigue nell’ambito del Pnrr.
Tra i corridoi del Ministero gira una indiscrezione che è già leggenda: addirittura un progetto è stato presentato battuto con la macchina da scrivere.
È di questa estate invece la notizia che il ministero delle infrastrutture ha revocato 1,8 milioni di euro di euro alla città metropolitana di Palermo per presentare progetti compatibili con il Pnrr (scuole, mobilità, risanamento urbano, case popolari) perché non è che sono fatti male, di più: non esistono.
I Comuni in Sicilia non sono neanche riusciti a presentare progetti per un’altra misura importantissima, quella per la costruzione degli asili nido. L’Isola è in cima alla triste classifica della povertà educativa. Giusto per capirci: solo un bambino su sedici ha accesso agli asili nido. a spesa media pro capite dei comuni siciliani per i piccoli sotto i tre anni è di 386 euro, tra le più basse d’Italia. La provincia autonoma di Trento ne investe 2.481.
Eppure, nessun Comune è riuscito a partecipare al bando. Morale: il governo ha riaperto i termini, e ha mandato un piccolo esercito di funzionari ministeriali per affiancare i tecnici degli enti locali per una nuova stesura dei progetti. Alla fine, erano tutti dentro, con 174 asili finanziati per 214 milioni di euro.
Tra i pochi Comuni che neanche al secondo turno hanno partecipato al bando c’è Marsala, quinta città della Sicilia, ottantamila abitanti. I tecnici del Comune, infatti, erano impegnati in un altro versante, molto caro all’attuale Sindaco, Massimo Grillo (centrodestra). E così, con i soldi del Pnrr destinati alle strutture sportive la città di Marsala è riuscita a farsi finanziare niente di meno che la realizzazione di un ippodromo. Due milioni e mezzo di euro. Proprio così. Una mandrakata. Un ippodromo da realizzare con i soldi pubblici mentre l’industria delle corse è in piena crisi (senza contare gli storici interessi delle famiglie mafiose siciliane nel settore).
La piega che sta prendendo l’attuazione del Pnrr in Sicilia è pertanto questa. Tanti soldi, poche idee, molta confusione. E i progetti che funzionano sono quelli che hanno una regia esterna. Ad esempio quelli gestiti, nei trasporti, da Rfi, Rete Ferroviaria Italiana, che da un lato prevede l’interramento di passaggi a livello e il restauro delle stazioni, dall’altro l’ammodernamento della ferrovia, per un totale di 2,3 miliardi di euro.
E man mano che si passa all’incasso, fa capolino un’altra domanda, che presto prenderà il posto del “come”. E la domanda è: e ora? I sindaci sono i primi ad ammetterlo: molti di loro hanno dichiarato candidamente di non aver presentato, ad esempio, richieste di finanziamento per gli asili nido, perché nessuno gli ha spiegato chi e come li terrà poi aperti. Stessa cosa avviene con i finanziamenti per le politiche abitative. A cominciare dai borghi, fino ai centocinquanta progetti finanziati in Sicilia con 230 milioni di euro. A chi serviranno queste zone residenziali in una terra che si va spopolando sempre più per mancanza di lavoro? Sono attualmente un milione i siciliani che vivono fuori dall’Isola e il numero aumenta di anno in anno.
Il tema è come trasformare le risorse uniche del Pnrr in risultati concreti. Ci vogliono capacità organizzative, e di programmazione, che da queste parti mancano. I cantieri meridionali sono ad alto rischio fallimento, come denuncia l’ultimo rapporto Svimez. Mentre in Italia per completare una infrastruttura occorrono in media mille giorni al sud ci vogliono 450 giorni in più.
Se tutto va bene, tornando al caso di Marsala, il sindaco avrà il suo bell’ippodromo finanziato dal Pnrr tra quattro anni, nel 2026. Nella speranza che, nel frattempo, esca magari una misura che permetta al Comune di comprare cavalli e fantini. E poi ci daremo tutti all’ippica.