Marsala non è una città per disabili, non è una città che fa dell’inclusione la sua priorità.
Le belle parole che si sono sentite sabato mattina, al Complesso Monumentale San Pietro, mentre si celebrava la giornata internazionale delle persone con disabilità, sono destinate a restare, appunto, solo belle parole, piene di speranza e anche di buone intenzioni ma la verità è un’altra.
La retorica in questi casi è la regina, spolvera il suo abito migliore, poi torna in soffitta e farà capolino l’anno prossimo.
Ci sono degli spazi che raccontano una storia diversa, ma si tratta di spazi che riguardano il privato, che riguardano il mondo delle associazioni che fanno tanto, potrebbero fare di più ma c’è bisogno di sinergia con l’Ente Comune ma anche con la Regione.
Le difficoltà delle persone con disabilità hanno bisogno di essere esaudite nella quotidianità, alle parole devono seguire i fatti, che significa davvero abbattimento di tutte le barriere architettoniche, comprese quelle culturali.
Non è concepibile essere prigionieri all’interno della stessa città, non è possibile che non sia loro consentito serenamente salire al Monumento ai Mille, godere di una passeggiata senza trovarsi lo spazio dello scivolo occupato, è vergognoso che non possano accedere facilmente ai negozi.
Condividere più che includere significa raccontare una realtà accessibile, altrimenti significa mettere in atto delle condotte discriminatorie contro i disabili.
Le famiglie spesso si ritrovano da sole, con poche risorse, con tante sofferenze e grandi responsabilità. Serve una rinnovata sinergia tra il settore pubblico e quello privato, c’è bisogno di partecipazione attiva delle persone con disabilità soprattutto nei processi decisionali.
Sabato mattina si è ascoltato di tutto, è durato troppo, ci si è stancati tanto e le persone con disabilità erano lì, ferme. Loro dovevano ascoltare e non partecipare.
A cosa serve una giornata a loro dedicata se non sono il perno centrale? A cosa e chi serve un video finale? Meglio all’inizio, no?
Non inventiamoci la storia che non possono, perché oggi la stessa innovazione è uno strumento potente di partecipazione e di inclusione. Le persone con disabilità devono partecipare alla società, è questo l’esempio che bisogna dare. Tutto il resto è un parlarsi addosso.
Troppa strada ancora da fare per tutte quelle persone che hanno disabilità intellettive e disturbi del neuro sviluppo, per consentirgli una vita partecipata.
Ha ragione Antonella Coronetta, intervenuta sabato mattina, quando ha detto che sono loro che devono autodeterminarsi, grazie alle loro necessità e anche alle loro volontà.
Quante scuole oggi ci sono realmente inclusive? Quanti percorsi accessibili nelle cure sanitarie e personale dotato di adeguate conoscenze e competenze?
La qualità della loro vita non dipende da fattori esterni ma dall’impegno di tutti, dall’accesso alla salute, all’istruzione, al lavoro, a una vita il più possibile autonoma.