Non era un amanuense a scrivere al posto di Matteo Messina Denaro. Le lettere e i pizzini se li scriveva da solo. La conferma arriva da una perizia calligrafica di 237 pagine disposta dalla criminalista Katia Sartori, su incarico della moglie dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino che, nei primi anni del 2000, d’accordo col Sisde aveva agganciato il boss per permetterne la cattura.
Dopo l’arresto di Bernardo Provenzano però l’operazione dei servizi del Sisde, allora presieduti dal colonnello Mario Mori, venne bruciata. E un po’ di tempo dopo si decise che quei pizzini inviati da Alessio (alias del capomafia di Castelvetrano) a Svetonio (nome in codice di Vaccarino) erano falsi, perché la scrittura non era quella di Messina Denaro.
La cosa non era venuta fuori da uno studio televisivo o dalle colonne di un articolo giornalistico, ma da una perizia calligrafica disposta da una Procura e redatta da Susanna Contessini, che in passato era stata chiamata a confrontare le grafie presenti sull’album da disegno sequestrato a Pietro Pacciani nel 1992, per il caso del mostro di Firenze.
Ma, come sottolineano Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, già difensori di Vaccarino, questa nuova perizia calligrafica sulla comparazione di cinque diversi documenti inviati da Messina Denaro alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai Lo Piccolo, dimostrerebbe che la grafia è proprio quella del boss.
E se le lettere sono vere, allora ci troviamo di fronte ad un altro depistaggio. Certo, involontario, ma che si aggiunge ai tanti altri che hanno inquinato la trentennale ricerca per la cattura di Matteo Messina Denaro.
Si dirà che quella di tanti anni fa era solo una perizia, ma fu fatta in un periodo in cui il credito dei grafologi da parte dei magistrati era molto alto. Oggi ci si trova con un materiale più nutrito, che prima non c’era. Per esempio non c’erano le lettere alla sorella Rosalia.
Ma attenzione, la perizia voluta dalla moglie di Vaccarino prende in considerazione anche la lettera di addio che Matteo Messina Denaro aveva scritto all’allora sua fidanzata. Una lettera scritta trent’anni fa, certamente disponibile all’epoca in cui si colloca la perizia della Contessini. Insomma le si potevano comparare già allora.
Anche perché anche in questa lettera, secondo il corposo studio disposto invece dalla Sartori, sono presenti elementi riscontrabili non solo negli scritti tra Svetonio e Alessio, ma anche in quelli inviati da Messina Denaro ai Lo Piccolo e, più recentemente, alla sorella Rosalia.
E’ vero che la scrittura nel tempo può cambiare, ma i cosiddetti “contrassegni particolari” rimangono. E appartengono “ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili”, si legge nella perizia voluta dalla moglie di Vaccarino.
E allora occorre porsi delle domande.
E’ verosimile che Matteo Messina Denaro avesse avuto qualcuno che scriveva al posto suo, rivestendo questo ruolo per trent’anni?
Perché, nel corso del tempo, nessuno mise in discussione la perizia calligrafica della Contessini, magari chiedendo una controperizia?
Perché a Rai3, nella puntata di Report del 24 maggio 2021, Paolo Mondani intervista su una barca un tizio di spalle, con la voce contraffatta, che dice che le lettere di Messina Denaro le scriveva un suo amico ex carabiniere, bancario, dei servizi segreti?
Nessuno ha ancora contattato questo misterioso bancario che probabilmente si è preso gioco di Report? Perché non confrontare la sua scrittura con quella dei pizzini attribuiti al boss?
Come mai poi, in decenni di indagini, nessuno è riuscito mai a seguire i pizzini fino al destinatario? Anche se di “postini” ne sono stati arrestati tanti, la tracciabilità si è sempre interrotta sul più bello. Perché non ci sono riusciti nemmeno i servizi che, come si sa, hanno una libertà di movimento maggiore rispetto alla magistratura?
Ma soprattutto, perché il Sisde, nei primi anni del 2000, cercava di catturare Messina Denaro, nonostante Bernardo Provenzano fosse ancora latitante e a capo della cupola? Perché proprio il boss di Castelvetrano, che invece contava molto meno? Era un mezzo per un obiettivo di livello superiore? Qualcosa di grosso anche più dell’arresto di Provenzano? Perché l’operazione fu stoppata e, attraverso la perizia della Contessini, si decise che non era vero che Vaccarino fosse entrato in contatto col boss?
Oggi più che mai, forse, occorrerebbero delle risposte.
Egidio Morici