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19/10/2023 07:43:00

Messina Denaro, dopo la morte chiuso il processo a Marsala

Al Tribunale di Marsala cala definitivamente il sipario su Matteo Messina Denaro.

Con la produzione, infatti, da parte del pm della Dda Gianluca De Leo, di un documento del Dap che attesta il decesso del boss mafioso castelvetranese morto il 25 settembre a L’Aquila si è chiuso il processo avviato lo scorso 13 settembre. Un certificato di morte rilasciato dal comune de L’Aquila è stato, invece, prodotto dall’avvocato Luca Bonanno, del foro di Palermo, difensore d’ufficio. Matteo Messina Denaro era imputato sulla base di due indagini, “Annozero” sulle “famiglie” del Trapanese e “Xydi” su quelle dell’Agrigentino, nelle quali il boss di Cosa Nostra era rimasto coinvolto, ma la cui posizione era stata stralciata in fase di udienza preliminare quando era latitante. Alla prima udienza, la presidente del collegio giudicante, Alessandra Camassa, aveva comunicato che al Tribunale era pervenuta una “rinuncia a comparire” in udienza firmata dall’imputato, anche se sulle sue condizioni di salute non era arrivata alcuna comunicazione. L’avvocato Bonanno chiese, quindi, un rinvio per accertarsi personalmente delle “reali condizioni di salute” del suo cliente.

“Soprattutto sul piano psicologico - disse il legale – e se è in grado di partecipare al processo”. Per questo, l’udienza fu rinviata al 18 ottobre (ore 15) . All’ex latitante si contestava di avere impartito direttive, attraverso rapporti epistolari (i famosi “pizzini”), costituendo il punto di riferimento mafioso decisionale in relazione alle attività e agli affari illeciti più importanti, gestiti da Cosa Nostra, in provincia di Trapani e in altre zone della Sicilia. Adesso, il processo si è concluso, come chiesto dal pm, per estinzione dei reati contestati (associazione mafiosa, estorsioni e altro) per “morte del reo”. Numerose erano le parti civili ammesse dal gup di Palermo al momento del rinvio a giudizio. Tra queste, anche la Cgil Camera del Lavoro di Trapani, rappresentata dall’avvocato Salvatore Rizzo, l’Antiracket di Trapani (avvocato Giuseppe Novara), Pasquale Calamia (avv. Marco Campagna), l’associazione “Antonino Caponnetto” (avv. Mariella Martinciglio in sostituzione dell’avvocato Alfredo Galasso), l’associazione “Giovanni Falcone”, Codici Sicilia (avv. Giovanni Crimi), l’Antiracket Alcamese, Sos Sicilia, i Comuni di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Canicattì. Intanto, è in fase d’appello, a Palermo, il processo “Annozero” per gli imputati che avevano chiesto il rito ordinario e che il 15 febbraio 2022 vide il Tribunale di Marsala infliggere tredici condanne per complessivi 166 anni di carcere. Esattamente quanti ne avevano invocati i pm della Dda di Palermo. Tra i legali degli imputati, gli avvocati Vito Cimiotta, Fabio Tricoli, Giuseppe Oddo, Massimiliano Miceli, Luisa Calamia e Lillo Fiorello.

L’operazione antimafia “Annozero” scattò all’alba del 19 aprile 2018. L’indagine, condotta dai carabinieri, ha visto coinvolti presunti mafiosi, tra i quali anche due cognati del superlatitante Matteo Messina Denaro (Gaspare Como e Rosario Allegra, quest’ultimo deceduto il 13 giugno 2019, a 65 anni, a seguito di un aneurisma cerebrale, nell’ospedale di Terni) e fiancheggiatori di Cosa Nostra nel Belicino. In primo grado, le pene più severe (25 anni di carcere ciascuno) sono state sentenziate per Gaspare Como, al quale si contesta un ruolo di vertice nella “famiglia” di Castelvetrano, e per Dario Messina, ritenuto dagli inquirenti il nuovo reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Già in precedenza, il Tribunale di Marsala aveva giudicato Matteo Messina Denaro. Il 31 gennaio 2011, il collegio presieduto dal giudice Renato Zichittella gli inflisse 30 anni di carcere (27 + 3 in continuazione con una precedente sentenza) per associazione mafiosa. Era il processo in cui il boss era imputato insieme a Giuseppe Grigoli, ex gestore dei supermercati Despar in Sicilia occidentale. In appello, a Messina Denaro la condanna venne confermata, seppure con uno “sconto” di sette anni. Il 9 novembre 2006, invece, per detenzione di armi ed esplosivi, il Tribunale marsalese gli inflisse 4 anni e mezzo di reclusione. Alla stessa pena fu condannato il coimputato Giuseppe Graviano, boss palermitano del quartiere Brancaccio. La pena fu sentenziata in continuazione con quella irrogata loro dalla Corte d’assise d’appello di Firenze il 13 febbraio del 2001. Gli esplosivi sarebbero stati quelli che il capomafia di Castelvetrano e quello palermitano, avrebbero fatto partire, agli inizi del 1992, da Mazara, per essere utilizzati negli attentati commessi a Roma e Firenze nel 1993.