«Se facessi ancora il pubblico ministero metterei ancora la mia firma a quella richiesta di rinvio a giudizio, perché il Pm ha l'obbligo di esercitare l'azione penale se ci sono presupposti per farlo, non sulla base di pregiudizi o inimicizie». Lo ha detto l'ex pm Antonio Ingroia al convegno “Lo Stato e la mafia: il tempo della verità” che si è tenuto in Senato, ridella vicenda della presunta trattativa Stato-mafia.
Con il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, presenti all'appuntamento, «ho avuto rapporti di collaborazione per anni. Quasi un decennio dopo taluni elementi di prova mi imposero - ha sottolineato - di chiedere il rinvio a giudizio. Un Gup ritenne che quegli elementi ci fossero. Una sentenza di primo grado confermò tutta l'impostazione accusatoria condannando gli imputati a pene gravissime. In appello la sentenza di condanna è stata ridimensionata e infine la Cassazione ha mandato tutti assolti per non aver commesso il fatto. Sul piano umano non posso che compiacermene ma sul piano tecnico ha concoradato che l'inchiesta non era una costruzione fantasiosa».
«Per la Cassazione - ha sottolineato - fu una tentata minaccia, ma seria, che se fosse arrivata a destinazione avrebbe potuto sulle decisioni del governo». «La semplificazione giornalistica che vuole che l'assoluzione di tutti uomini dello Stato significasse che quell'indagine fosse fondata sul nulla non è vera. Perfino la Cassazione non lo dice. Credo che il tempo della verità - ha concluso - purtroppo non è ancora giunto».