Da sempre i libri (per me) hanno rappresentato evasione dal quotidiano, che fosse narrativa - ne leggo sempre meno, è un mio limite e spesso mi annoio con quella in circolazione, la fotografia un pezzo fondante della mia vita e non riesco a liberarmene, la saggistica perché impone di premere il tasto PAUSA e riflettere su temi del quotidiano. Qualche giorno addietro il Saggiatore ha ripubblicato un testo che era sparito da troppo tempo dai cataloghi e solo per questo un plauso a chi con fatica improba ha reso possibile tutto ciò.
Morire di classe di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia con le fotografie di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, siamo nel 1969 Einaudi pubblica questo libro denuncia sullo stato dei manicomi in Italia. Basaglia aveva iniziato da tempo la sua battaglia per abbattere quei cancelli (la legge 180 vedrà la luce molti anni dopo) - eco di questi racconti ne La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana che da poco ha compiuto già vent’anni dalla sua uscita - e andare oltre quei gorghi di disumanità.
E venne in soccorso la fotografia: sul tema c’è ampia letteratura e curiosamente a tanta disumanità col bollo di Stato oggi abbiamo una ricchissima narrazione fotografica di cosa sono stati gli ospedali psichiatrici . Da quando entravano, come nelle carceri, venivano schedati ovvero fotografati e fin dall’800 c’è stata consapevolezza di quanto avveniva oltre quei muri e quando non fu più possibile nascondere quanto avveniva lì dentro intervenne la politica a sanare ciò che lo Stato aveva reso possibile. Il teatro dell’assurdo. Lo studio incessante e ostinato di Basaglia per altre forme di cura e la ricerca formale di alcuni fotografi completarono il quadro.
Nel risvolto di pagina, Alberta Basaglia e Luca Formenton (editore de Il Saggiatore) ringraziano chi ha reso possibile la ristampa di questo libro “simbolo”, perché tale è. Dove testimonianze scritte e racconti fotografici traggono una forza unica e diventano strumento di denuncia allora, ricordo oggi.
Dove alcuni libri DEVONO esserci nelle librerie delle nostre case, perché la memoria abbia un senso. Scorrendo le pagine, l’abisso è la sola parola che rimbomba nella testa, leggi e guardi le fotografie e trovi tutto insopportabile.
Anni addietro a Reggio Emilia e a Correggio una mostra fotografica: Il volto della follia cent’anni di immagini del dolore, ho ripreso quel catalogo a corredo di questa esposizione monumentale e colpiva l’azione quasi fiamminga del determinare quei luoghi con la fotografia - non solo con la schedatura all’ingresso, ma anche con i luoghi di soggiorno-detenzione, e poi sbarre cancellate letti materassi sale per l’elettroshock, e sala dopo sala noi tutti visitatori sprofondavamo in quel racconto che non era più tale, era solo abisso ora si reso consapevole dai documenti fotografici.
Gli infermieri non devono tenere relazioni con le famiglie dei malati, darne notizie, portar fuori senz’ordine lettere, oggetti, ambasciate, saluti: né possono recare agli ammalati alcuna notizia dal di fuori, né oggetti, né stampe, né scritti. (norma regolamento in un ospedale psichiatrico)
…né stampe, né scritti e penso alle poesie di Alda Merini che ha abitato quei luoghi.
Le pagine scorrono, guardo i loro volti gli occhi ora fissi ora spauriti ora persi, e ricaccio una associazione dei tempi contemporanei non voglio che sia. Nel catalogo della mostra riprendo alcune righe “ho davanti a me in studio una fotografia del 1870 sopravvissuti ad un disastro in mare; sono stipati su una fragile scialuppa e i loro sguardi sono esattamente gli stessi che hanno le persone nelle fotografie di questa mostra. Persone rinchiuse, alienate al mondo, sopraffatte o semplicemente inspiegabili” (Davide Benati).
Da circa trent’anni il Sud del mondo arriva da noi occidente e tra i porti naturali le nostre coste: quante fotografie di salvati alla morte su battelli incerti abbiamo visto? E i loro sguardi? Sommersi salvati.
Si ripete la storia con altri carichi residuali e lo Stato la lezione non l’apprende. Domani dei CPR forse avremo qualche rapporto di questa o quel parlamentare in visita, avremo l’ennesimo reportage giornalistico di denuncia di condizioni assurde e inumane per un problema talmente complesso che riguarda tutta l’Europa e dove noi italiani in modo trasversale abbiamo - inconsapevoli - storie e luoghi già abitati. Non avremo quella ricchezza fotografica a supporto, oggi per usi distorti se ne farebbe un pessimo vettore di consapevolezza. Servirebbe studiare la storia contemporanea, e forse ammettere che il mare non lo svuoti con un secchiello. Leggiamo di ultime lettere, di suicidi e davanti al dolore degli altri non ci battiamo più neanche il petto, sono brevi in cronaca forse.
Quel NOI che dovrebbe indignarci è tale, tutto scivola via manca immaginarsi cosa siano quelle persone dentro quei luoghi, manca l’empatia e non siamo riusciti a fare nostra queste realtà con cui ci limitiamo a vivere in parallelo. Loro e noi.
“Le immagini di un’atrocità possono suscitare reazioni opposte
…O semplicemente la vaga consapevolezza, continuamente alimentata da informazioni fotografiche, che accadono cose terribili” (Susan Sontag)
Giuseppe Prode