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21/07/2024 06:00:00

Carlo, Genova. Autobiografia di una nazione

Non è un numero da anniversario il 23, i dieci anni o il quarto di secolo si commemorano - quelli si che fanno rumore - in Sicilia poi siamo reduci dalla retorica dei trent’anni delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.


Rassegna stampa dell’alba, leggo un disegno di Mauro Biani, “Carlo” (20 luglio 2001 la data la aggiungo io): dov’ero, che facevo? Genova, G8.
La memoria ancora buona e aprire i cassetti è un attimo, e lì Eligio Paoni fotografo e non solo lui ma ci arrivo tra qualche riga.
Avevo un’amica che faceva la spola tra la Sicilia e casa sua nel ponente ligure e nei giorni prima della grande kermesse che avrebbe visto i grandi del mondo a Genova e l’Italia al centro delle cronache, in taxi mi chiamò e mi disse “ respiro un’aria strana, l’aeroporto è militarizzato e appena fuori dal perimetro non sembra la Città di Cristoforo Colombo ma un territorio che attende più un assalto dal mare”, e quelle telefonate divennero più serrate in prossimità dell’inizio.

Ma non capivo.
In quegli anni in molti eravamo convinti dell’utilità di queste riunioni tra i grandi della terra, e al contempo maturi i tempi per una coscienza alternativa ai grandi scenari della globalizzazione che poi avremmo visto.
A Genova, ricordo chiaramente che fuori dalla famosa zona rossa, diverse anime e sensibilità si sarebbero incontrate e confrontate per discutere di sistemi sostenibili di sviluppo, di cambiamento del clima, del sud del mondo che già premeva nel Mediterraneo e non solo: era il Genoa Social Forum.

Nonostante tutto la speranza c’era di credere che con la parola la non violenza e il confronto e l’ascolto qualcosa potesse accadere.
Non fu così.
A Genova arrivarono anche i black bloc da mezzo mondo, e fu il disastro: fotografi giornalisti e tv di fatto iniziarono a raccontare un teatro di guerra e le telefonate della mia amica mi furono chiare fin da subito. Quella città era stata ingabbiata, molta parte dei genovesi invitati caldamente ad andare via nei giorni concomitanti e quando vidi le prime dirette e poi i servizi fotografici a seguire capimmo in molti che l’aria era pessima e che nonostante gli inviti al confronto qualcosa di grosso poteva accadere, e accadde. Del G8 di fatto non se ne curò più nessuno.
Prima di scrivere questo pezzo, ho riascoltato un podcast originale scritto e realizzato da Mauro Pescio e Daria Corrias per Rai Radio3 - Genova per tutti - per rivivere questi ventitré anni trascorsi; poi ho ripreso una mia memoria su Eligio Paoni - morto nel 2018, reporter autentico ed è a lui che dobbiamo le fotografie di Piazza Alimonda mentre il carabiniere Placanica dentro il Defender spara con la sua calibro 9 a Carlo Giuliani che tenta di colpirlo con un estintore.

Dopo l’ascolto del podcast e aver rivisto quelle fotografie ho mollato tutto per qualche ora, ho rivissuto quel tempo assurdo, e della Scuola Diaz ancora non ne sapevamo nulla.

"Autobiografia di una nazione" ascolto nei primi minuti del podcast, e forse è una lettura originale di quella Italia, dove l’ordine pubblico fu gestito in modo discutibile e dove tutto saltò: le regole più elementari di umanità, della Scuola Diaz si parlò di macelleria argentina e questi termini di paragone nel civile e democratico Paese ci devono far riflettere su quanto accadde. Ma siamo anche la nazione delle stragi e dei processi infiniti per non trovare mai i colpevoli, a Genova c’erano e sappiamo come andò a finire.

Noi che credevamo in quel processo partecipato e di confronto ci ritrovammo ad editare fotografie quasi impublicabili per i quotidiani, Eligio Paoni fu massacrato dai carabinieri e fece appena in tempo a mollare i rulli ad un collega, il referto dell’ospedale fu tremendo e lui si riprese dopo quasi un anno.

Dopo la Diaz e i pestaggi alla caserma Bolzaneto, il buio su quella pausa che ci fu a Genova sulla democrazia, sulla sospensione dei più elementari diritti civili e umani.

Dico grazie alla Rai per aver prodotto questa memoria e le scuole e non solo dovrebbero prendere un tempo e ascoltare e magari studiare questo pezzo di storia contemporanea, dove ancora oggi c’è un buco nero dove ci siamo persi e molti non si sono più ritrovati.
Mauro Biani e il suo disegno da leggere invita a ricordare per chi c’era, e alle nuove generazioni a studiare cosa accadde: ci vuol poco a leggere un disegno, ma è quella leggerezza che diventa macigno per chi ha voluto rimuovere tutto o quasi.


Giuseppe Prode