Anni di inazione, di “sonno” degli uffici, quell’ufficio Tributi del Comune di Marsala, hanno avuto come conseguenza un clamoroso mancato incasso (oltre un milione di euro) sul fronte della tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Per non avere, infatti, notificato altri “atti interruttivi” della prescrizione, dopo gli avvisi di accertamento e le ingiunzioni di pagamento tra il 2011 e il 2016, dei crediti vantati per gli anni dal 2006 al 2012, il Comune di Marsala è rimasto a bocca asciutta nella “composizione dello stato passivo”, con decreto di esecutività, redatto dal giudice Mauro Cantone, della sezione penale e misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, per patrimonio (valore stimato: 127 milioni di euro) confiscato dallo Stato a Michele Angelo Licata, ex imprenditore leader in Sicilia occidentale nel settore ristorazione-alberghiero.
Adesso, il giudice non ha ammesso il credito vantato dal Comune. Ci si chiede se ora, per coprire il “buco”, il mancato introito sarà spalmato tra chi ha sempre pagato la tassa dei rifiuti, magari tirando la cinghia pur di non essere moroso. Ed è lecito chiedersi anche se i funzionari competenti abbiano anche incassato i soliti succulenti “premi di produttività”... E per lo stesso motivo (atti interruttivi solo dal 2014 al 2016) non è stato ammesso neppure il credito vantato dal Comune di Petrosino, che di tassa rifiuti per Baglio Basile vantava 717 mila euro. Respinta al mittente anche la richiesta di pagamento, per 442 mila euro relativi agli anni 2014 e 2015, della società a cui il Comune di Marsala per un certo periodo aveva affidato il servizio di bollettazione e riscossione della tassa dei rifiuti. In questo caso, perché la richiesta di ammissione è stata presentata in ritardo. Nulla neppure per il Credem, che aveva chiesto 449 mila euro per mutui concessi all’imprenditore. E con la banca il giudice è stato piuttosto severo nelle motivazioni del suo diniego.
Secondo il magistrato, i finanziamenti sarebbero stati concessi con eccessiva leggerezza. “Nel novembre 2014 – scrive, infatti, il giudice Cantone – Michele Angelo Licata era già stato condannato per plurime violazioni delle norme sulla disciplina igienica, della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, per lesioni personali colpose (tutte le volte che clienti dei suoi ristoranti finivano al pronto soccorsi per malori, ndr), per delitti colposi contro la salute pubblica e per violazioni delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: la ricorrenza di queste plurime vicende giudiziarie, significative di ‘zone d’ombra’, avrebbe imposto all’istituto di credito una particolare cautela e prudenza nell’erogazione del finanziamento”.
Nessun pagamento, inoltre, neppure per i diversi fornitori di beni e servizi (ditte di arredi, imprese edili, di manutenzione impianti idraulici ed elettrici, etc.), in quanto, motiva il giudice, le fatture presentate sono atti redatti “unilateralmente”. E per altro, proprio sulle false fatture si è basato il sistema di evasione fiscale per cui l’imprenditore è stato condannato.
Fu nella primavera del 2015 che scattò il primo sequestro. A porre i sigilli al suo impero economico fu la Guardia di finanza dopo avere scoperto una colossale evasione fiscale. Da allora, sono in amministrazione giudiziaria ristoranti e alberghi: Delfino, Delfino Beach hotel, il mega-complesso Baglio Basile (albergo e ristoranti) e l’agriturismo La Volpara. Nove anni fa, il maxi-sequestro (oltre alle strutture, anche società, conti correnti, abitazioni, terreni, auto, etc.) fu la più imponente misura di prevenzione patrimoniale per “pericolosità fiscale” a livello nazionale. L’evasione fiscale contestata al “gruppo Licata” (Iva e tasse non pagate tra il 2006 e il 2013) è stata stimata da Procura di Marsala (pm Alberto Di Pisa e Antonella Trainito) e Guardia di finanza in circa 6/7 milioni di euro, mentre i finanziamenti pubblici per la realizzazione di alberghi e ristoranti, secondo l’accusa “indebitamente” percepiti (ma poi, in appello, per il reato di truffa allo Stato è scattata la prescrizione) sarebbero ammontati a circa 4 milioni di euro. In primo grado, l’imprenditore è stato condannato a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di reclusione non solo per evasione fiscale, ma anche per truffa allo Stato e malversazione. Poi, in secondo grado, con la prescrizione per truffa allo Stato e l’assoluzione per la malversazione (circa un milione e 800 mila euro che, secondo l’accusa, Licata aveva sottratto alle casse di una delle sue società, “Il Delfino”), la Corte d’appello rideterminò la pena in 2 anni, 6 mesi e 20 giorni di carcere. Nel 2022 la Cassazione confermò i due anni e mezzo.
Nel gennaio 2023, la Corte d’appello ha confermato gli ha confermato la condanna a 5 anni di carcere che il 18 marzo 2021 il Tribunale di Marsala gli aveva inflitto per auto-riciclaggio. Adesso, nell’ambito degli adempimenti successivi alla confisca dei beni, è arrivato il momento di “saldare” tutti i creditori, o presunti tali, e in questa fase il giudice Cantone ha accordato il diritto ad essere pagati a parecchi dipendenti: 27 lavoratori per un totale di 313 mila euro di compensi. Anche i crediti di Riscossione Sicilia, ora Agenzia delle Entrate, sono stati respinti, ma questo perché le aziende, passando di mano, e cioè allo Stato per effetto della confisca, si è creata una certa confusione per i debiti per tributi nazionali, quindi erariali, e per questo non più dovuti. Insomma, lo Stato non può chiedere a se stesso. Nel caso, invece, dei Comuni la negligenza degli enti locali porta alla perdita secca del credito sul bilancio, con gravi responsabilità per coloro che, ignorando la normativa in materia di misure di prevenzione, non hanno continuato a curare gli atti interruttivi della prescrizione durante la procedura, cioè dal 2016 ad oggi. Chi pagherà adesso?