L'ultima udienza è terminata con un vero e proprio colpo di scena. Era prevista la requisitoria del Procuratore Generale (siamo, infatti, alle fasi finali del processo). Ed invece il rappresentante dell'accusa - dopo essersi accorto che i due giudici a latere della III sezione della Corte d'appello presieduta da Giancarlo Trizzino, e cioè Filippo Messana e Gaetano La Barbera, facevano parte del collegio giudicante (Barbera presidente) che lo scorso 23 aprile ha assolto l'ex senatore Pietro Pizzo dall'accusa di voto di scambio politico-mafioso - ha invitato i due magistrati ad astenersi da questo processo. A fare un passo indietro, insomma. Lasciando il compito di giudicare Costa ad altri colleghi.
Il procuratore generale lo scorso 6 febbraio, all'inizio del giudizio d'appello, aveva invocato per Costa la condanna alla stessa pena chiesta in primo grado dai pm Massimo Russo e Roberto Piscitello (5 anni e il divieto di soggiorno in provincia per un anno al termine dell'espiazione della pena). Ha motivato l'invito all'astensione dei due giudici con il fatto che in questo procedimento ''ci sono elementi di prova che si intersecano'' (si tratta dei rapporti tra mafia e politica a Marsala) con quello relativo a Pietro Pizzo (''Peronospera II''). Il caso è quello previsto da un comma dell'articolo 36 del codice di procedura penale. In entrambi i giudizi, inoltre, Filippo Messana risulta essere «relatore». I due giudici, dunque, secondo il rappresentante dell'accusa, potrebbero avere maturato un convincimento. Alla richiesta del Procuratore Generale si è associato l'avvocato della parte civile, Giuseppe Gandolfo, legale dell'Associazione Antiracket. Contrari, invece, si sono detti i difensori dell'imputato, gli avvocati Gioacchino Sbacchi e Pietro Milio. Messana e La Barbera comunicheranno la loro decisione nell'udienza di oggi. E se i due magistrati decideranno di astenersi, il processo d'appello dovrà ricominciare d'accapo.
Trait d'union tra Costa, arrestato il 15 novembre 2005, e la locale famiglia mafiosa, secondo l'accusa, sarebbe stato Davide Angelo Mannirà (cugino acquisito del boss Natale Bonafede), poi però assolto dall'accusa di associazione mafiosa.
David Costa fu arrestato nel Novembre 2005 con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa su provvedimento del gip di Palermo Giacomo Montalbano, richiesto dai pm Massimo Russo, Roberto Piscitello e Gaetano Paci.
L'ordine di custodia fu eseguito dalla squadra mobile di Trapani che aveva indagato sull' attività politica del parlamentare e sui suoi contatti con presunti esponenti mafiosi di Marsala, e in particolare con il boss Natale Bonafede, nel periodo 2000 - 2005.
Nel 2004 aveva ricevuto un avviso di garanzia per lo stesso reato e si era subito dopo dimesso dall'incarico di assessore regionale alla Presidenza.
Secondo l'accusa Costa era "interessato a ricevere il sostegno della famiglia mafiosa di Marsala" durante le elezioni avvenute nel 2001 per il rinnovo dell'assemblea regionale in cui era candidato nella lista del Ccd, a fronte "di erogazione di somme di denaro". Costa si sarebbe "reso disponibile a versare una somma di denaro di 100 milioni di vecchie lire a un boss e, ad assicurare, una volta eletto, l'ingerenza amministrativa nel Comune di Marsala". Il versamento non venne poi effettuato dal politico perché, sostengono gli inquirenti, "i boss preferirono non essere pagati".
L'anno successivo, con il rito abbreviato, Costa fu assolto. I pm Roberto Piscitello e Massimo Russo avevano chiesto la condanna a cinque anni di reclusione.
L'esponente politico aveva sempre respinto gli addebiti che gli erano stati mossi da collaboratori di giustizia e testimoni, tra i quali ex colleghi di partito come il consigliere comunale Vincenzo Laudicina e il deputato Onofrio Fratello, che ha invece patteggiato una condanna a un anno e sei mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.