«Nella nostra provincia – afferma Ignazia Bartholini, sociologa avveduta e ricercatrice fantasiosa - pregiudizi e tabù si sovrappongono a problemi relazionali ed esistenziali di natura più generale». È il dato ufficiale di uno studio qualitativo condotto dalla Bartholini, docente di sociologia della devianza, assieme alla dott.ssa Vitalba Basciano.
È stata intervistata una triade di soggetti del gruppo di coetanei, amici e/o parenti dei soggetti in questione. Il campione, 12 giovani fra i 20 e i 33 anni, ha evidenziato relazioni disattese, di successi e insuccessi, di aspettative tradite. Dalle interviste è emerso che la maggior parte non era a conoscenza della volontà suicidaria dei propri amici. Una parte di loro, infatti, non aveva mai dato a vedere la sofferenza e vivevano normalmente, anche se meno intensamente, mentre l’altra parte si era isolata, rifiutando qualsiasi tentativo di coinvolgimento dei familiari. Quasi tutti gli intervistati avevano notato però dei comportamenti “strani”, ma nessuno aveva pensato che questi potessero essere dei veri campanelli d’allarme. Essi, infatti, se avessero intuito una pur vaga volontà suicidaria, avrebbero cercato, di convincere i soggetti e avrebbero chiesto aiuto ad adulti ed esperti per prevenire l’attuazione di una simile azione.
«Il suicidio di un giovane - afferma la Bartholini - spesso non nasce da grandi problemi, ma da piccole scosse inavvertite che galleggiano “sul mare dell’indifferenza degli adulti” e che si trasformano in vere tragedie comunitarie oltre che individuali. Per ogni suicidio vi sono fattori predisponenti e precipitanti. I primi rientrano nell’ampia casistica delle relazioni difficili all’interno della famiglia o con uno dei genitori. Fra i fattori precipitanti, i più frequenti, ci sono le delusioni sentimentali e amicali, la non accettazione della propria identità sessuale (l’omosessualità negata a se stessi), e un disagio generale di tipo psichico-emotivo, spesso latente, che sfocia in veri e propri stati depressivi. Il punto dolens è individuabile nelle relazioni di prossimità o meglio nelle relazioni vuote (perché, formali, approssimative) che hanno accompagnato la breve esistenza di quei giovani. Il suicidio dell’amico o del familiare – continua la professoressa - è stato considerato, infatti, dagli stessi intervistati come un gesto estremo per richiamare l’attenzione su di sé, ma ancor più spesso come un atto di fuga da una situazione vissuta come priva di una via d’uscita››.
Il gesto di estrema auto eliminazione non è un fatto puramente individuale, ogni azione compiuta coinvolge la responsabilità collettiva e richiama ciascuno a un debito verso chi ci è più prossimo: «Dovremmo tutti noi – ribadisce la Bartholini - fare uno sforzo di civiltà relazionale, di cura dell’altro e di rispetto laico, quel rispetto che ciascuna persona deve all’altrui essere umano››.
PARLANO LE MADRI. Dalle interviste condotte alle sei madri di giovani suicidatisi nell’ultimo quinquennio, di età tra i 18 e i 30 anni, è emerso come la maggior parte presentava tratti caratteriali ben precisi e comuni fra loro: spiccata sensibilità , riservatezza e introversione, particolari che hanno consentito alle vittime di mascherare il proprio malessere esistenziale.
Cinque ragazzi su sei avevano avuto profonde delusioni in amore, scuola, amicizia e lavoro che, unite a profonda frustrazione e ansia, hanno scatenato l’azione suicida. I giovani avevano, inoltre, manifestato, nei giorni precedenti, segnali della classica “sindrome pre-suicidaria”, caratterizzata da disturbi del sonno, dell’appetito, della concentrazione, apatia e sentimenti di tristezza.
Altro elemento indicativo è che la relazione con il padre era o di tipo conflittuale o, ancor più, distaccato, freddo, poco confidenziale.
«Ciò confermerebbe – afferma la Bartholini - la tesi della psicologia classica: tutto inizia con una scelta oggettuale, un vincolo che diviene causa di mortificazione o delusione nei confronti di una persona amata, il padre, appunto. La ribellione contro l’oggetto diviene ribellione contro l’Io. La rabbia contro se stessi è quindi alla base del gesto suicidario››.
La Bartholini e l’assistente Valentina Iovino hanno monitorato quale tipo di tecniche preventive è opportuno porre in essere nell’età evolutiva e della formazione, in sinergia tra scuola e famiglia e hanno individuato otto tipologie: interventi di formazione per il personale scolastico; d’informazione di base sul suicidio indirizzata agli studenti; programmi di screening; programmi per sviluppare il sostegno tra i coetanei; di formazione per figure sociali; centri di crisi e Helpline; piani per limitare l’accesso a strumenti usati a scopo suicidari; intervento post-suicidio. Nessuna di queste è stata fin qui attuata nella nostra provincia, l’unica Associazione con sede a Trapani che aiuta i genitori a elaborare il lutto e offre sostegno a chi ha fatto l’amara esperienza per la perdita del figlio è “Figli in cielo”.
TRE SUICIDI IN DUE MESI. Tre sono i suicidi avvenuti negli ultimi due mesi nella provincia di Trapani, ma il fenomeno presente fra i giovani è preoccupante e in aumento e si presume che sia tre volte tanto.
Le statistiche ufficiali affermano che è per gli adolescenti la seconda causa di morte. I dati del 2007, registrano cifre elevate (153 suicidi di ragazzi di età compresa fra i 14 e i 24 anni), e rilevano come sono le regioni dell’Italia settentrionale e soprattutto del Nord-Est che fanno registrare i valori più elevati. La Lombardia ha il primato, mentre tra le regioni del Sud con il maggior numero di giovani con morti violente c’è la Sicilia, con Enna in testa alla classifica, seguita da Ragusa e Agrigento. Trapani è l’ultima provincia.
Salvatore Agueci