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05/03/2010 07:16:11

Sequestro di beni per 70 milioni di euro ad imprenditori di Castellammare del Golfo

I provvedimenti di sequestro, emessi dai tribunali di Agrigento e Trapani, che hanno accolto le istanze della Dia e della Dda di Palermo, hanno ad oggetto ditte individuali, società di capitali, terreni, fabbricati, veicoli industriali, complessi aziendali e denaro liquido.

I beni sono stati sequestrati  all’imprenditore Mariano Saracino, attivo nel settore edile, di Castellammare del golfo (Tp) e ai fratelli Diego e Ignazio Agrò che si occupavano di produzione olearia. Il dispositivo di sequestro è stato emanato dai tribunali di Trapani e Agrigento, su richiesta del direttore della regionale della Dia, Antonio Girone, e del procuratore aggiunta alla Dda di Palermo, Roberto Scarpinato.
Mariano Saracino, in stato di detenzione dal luglio del 2004, è stato più volte condannato, con sentenze passate in giudicato, per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione ed altro. Come si rileva dalla lettura dei citati provvedimenti di condanna, che sostanzialmente hanno dato riscontro alle risultanze investigative esperite nell’ambito delle note operazioni denominate “Arca” e “Tempesta”. Saracino è un imprenditore che ha svolto la sua attività imprenditoriale sfruttando in ogni modo le potenzialità del c.d. “metodo mafioso”, anche attraverso l’illecita ingerenza nel settore degli appalti pubblici. La partecipazione del prevenuto al sodalizio mafioso operante nel mandamento alcamese, può farsi risalire in epoca precedente alla c.d. “strage di Pizzolungo” (2.04.1985) ed è continuata, ininterrottamente, anche dopo una sua prima sentenza di condanna per associazione mafiosa, intervenuta nel luglio del 2000.

 Oltre a far parte di quella schiera d’imprenditori che grazie ai favori di cosa nostra Saracino ha potuto, nel tempo, espandere in modo esponenziale la sua attività imprenditoriale, economica e patrimoniale, si è anche adoperato in prima persona per agevolare e favorire le attività illecite poste in essere da detto sodalizio criminale, segnatamente quelle di natura estorsiva. In tale veste, ponendosi a completa “disposizione” dell’organizzazione, oltre a provvedere alle necessità economiche della stessa, si è più volte adoperato per fornire rifugio e assistenza a numerosi latitanti, ponendo a disposizione di diversi uomini d’onore delle famiglie di Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi, ma anche dell’area palermitana, propri immobili, da destinare a nascondigli per noti latitanti come BRUSCA Giovanni, MILAZZO Vincenzo e SCANDARIATO Nicolò, nonché come luoghi di riunione per incontri riservati. Il ruolo del SARACINO, quale imprenditore legato a cosa nostra, trova ulteriore riscontro nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo, del 2.05.2008, divenuta irrevocabile il 25.02.2009, con la quale lo stesso è stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione ed altro.

Il sequestro ha interessato ditte individuali e società di capitali, appezzamenti di terreno, fabbricati, veicoli industriali, autovetture e disponibilità finanziarie.

In particolare, con l’operazione odierna, che ha visto impegnato nelle articolate indagini il personale della Sezione Operativa D.I.A. di Trapani, si è proceduto al sequestro di:

* il 50% capitale sociale, nonché il complesso dei beni aziendali della Calcestruzzi Castellammare s.r.l., con sede in Castellammare del Golfo;
* il capitale sociale, nonché il complesso dei beni aziendali delle società Scopello Costruzioni s.r.l., CO.SI. s.r.l. e Del Ponte s.r.l., tutte operanti nel settore delle costruzioni edili, con sedi in Castellammare del Golfo;
* il 49% del capitale sociale della società CE.RE.VE s.n.c., operante nel settore della revisione e riparazione di veicoli industriali;
* l’intero patrimonio della società MAXIM’S Bar di Filippazzo G. & C. s.n.c. con sede in Castellammare del Golfo, operante nel settore della somministrazione alimentare;
* due imprese individuali, condotte dal SARCINO Mariano e dalla di lui moglie SOTTILE Caterina, operanti, rispettivamente, nel settore delle costruzioni edili e dell’agricolturaa;
* otto appartamenti, con relative pertinenze, ubicati in Castellammare del Golfo;
* dieci unità immobiliari destinati ad attività commerciali ed uffici, ubicati in Castellammare del Golfo;
* venti unità immobiliari destinati a magazzini e locali di deposito,
* sei villini, utilizzati come residenze estive, ubicati in località Scopello;
* 30 appezzamenti di terreno, alcuni dei quali esistenti in zone edificabili, ubicati in Castellammare del Golfo;
* quattro fondi agricoli con annessi fabbricati rurali, siti nel comune i Castellammare del Golfo;
* venti veicoli di varia specie;
* disponibilità finanziarie depositate presso diversi Istituti di credito.
 


Diego e Ignazio Agrò, già arrestati nel 2007 nell’ambito dell’operazione “Domino 2”, a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati, già capo di cosa nostra agrigentina, e condannati alla pena dell’ergastolo, nel 2009, dalla Corte d’Assise di Agrigento per l’omicidio di Mariano Mancuso avvenuto ad Aragona (AG), nel 1992.

In sede processuale è stata dimostrata la valenza criminale dei fratelli Agrò nonché i loro stretti rapporti con i capi mafia della provincia agrigentina Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e Maurizio Di Gati, ai quali i citati imprenditori si rivolgevano per dirimere le controversie susseguenti alla loro attività di usurai, fino a spingersi ad ottenere la soppressione violenta del Mancuso che si era rifiutato di restituire il denaro avuto in prestito. E’ stato, altresì, acclarato che lo stesso Fragapane aveva investito denaro di cosa nostra nell’illecita attività posta in essere dagli Agrò che, grazie all’appoggio incondizionato dell’organizzazione, erano così riusciti ad incrementare il patrimonio personale.

Sulla personalità criminale degli Agrò, impegnati per conto di cosa nostra nell’attività usuraria sul territorio agrigentino, hanno riferito anche i collaboratori di Giustizia Ignazio Gagliardo e Maurizio Di Gati.

Il provvedimento di sequestro, a seguito delle complesse indagini del personale della Sezione Operativa di Agrigento, che colpisce anche i congiunti dei suddetti, ha riguardato conti correnti, numerosi terreni e fabbricati siti nelle province di Agrigento, Messina, Brindisi e Perugia, due aziende e quote societarie di diverse imprese operanti nel settore immobiliare e nella produzione e commercializzazione di olio alimentare.

L’operazione è il risultato di una indagine patrimoniale delegata, in origine, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento e successivamente dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo. Il Tribunale di Agrigento ha motivato il sequestro rilevando, sulla base delle complesse ed articolate investigazioni di carattere tecnico-patrimoniale svolte dalla D.I.A, la mafiosità dei soggetti proposti e la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e/o dei redditi dichiarati e l’attività svolta.