"Le nuove tecnologie hanno ormai cambiato il rapporto dei capimafia con il loro territorio - spiega Nino De Santis, il capo della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo - non è più solo un territorio fisico quello da marcare, ma un territorio virtuale fatto di affari, opportunità e relazioni, che possono essere gestiti anche a distanza, attraverso i moderni mezzi di comunicazione".
Falsone aveva pure sette telefoni cellulari, che potranno dire molto sulla rete dei complici, in Italia e in Francia. La sua carta di credito ha già svelato la bella vita che faceva a Marsiglia: aveva cambiato otto appartamenti, andava spesso in spiaggia e in qualche locale. E soprattutto corteggiava un'impiegata della banca doveva aveva aperto il conto: le diceva di essere un ricco imprenditore siciliano che aveva deciso di aprire un'azienda edile in Francia. Ma la messinscena non è durata a lungo. I servizi segreti italiani hanno avuto una soffiata su un latitante a Marsiglia, che si è incrociata con alcune indagini della polizia che da tempo portavano da Agrigento in Francia.
Resta il giallo della partenza di Falsone dalla Sicilia. Dai pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano erano emerse pesanti divergenze con un altro padrino latitante, il trapanese Matteo Messina Denaro, oggi signore incontrastato di Cosa nostra siciliana. Era il 2006, Messina Denaro scriveva al capo di Cosa nostra per accusare Falsone di essersi appropriato di molti soldi, nell'ambito di un affare riguardante alcuni supermercati Despar. All'epoca, solo la mediazione di Provenzano era riuscita ad evitare una faida fra le cosche di Agrigento e Trapani.