Non si tratta di «carte» segrete, conservate in qualche covo della mafia, ma di documenti istituzionali tenuti, chissà perché, ben chiusi nei cassetti. Note, appunti, relazioni di servizio dell’ufficio politico della Questura, rintracciati negli archivi polverosi della polizia, dove erano stati per quasi mezzo secolo, senza che nessuno si prendesse la briga di leggerli. In una parola «insabbiati».
Domani, venerdì, saranno portati nell'aula della corte d’assise di Palermo davanti alla quale si celebra il processo per il rapimento del redattore. Con un unico imputato alla sbarra: Totò Riina. L'arrivo delle nuove carte potrebbe determinare un nuovo stop del processo (il 4 marzo era già iniziata la requisitoria dei pm) e anche una riapertura della fase dibattimentale.
I documenti sono stati recuperati su richiesta della stessa corte in base alle tracce emerse in alcune testimonianze tra cui quella di Bruno Contrada che nel 1970 condusse con Boris Giuliano la prima fase delle indagini sul caso De Mauro. Alcuni accertamenti furono delegati dal questore dell’epoca, Ferdinando Li Donni, all’ufficio politico. Le carte, che in un primo momento non erano state trovate, dovrebbero toccare le piste seguite per risalire al movente della scomparsa del giornalista. Ma potrebbero riguardare altre vicende oscure che da 41 anni frenano la ricerca della verità. È probabile che venerdì anche la difesa di Riina e le parti civili chiedano un breve rinvio del processo per l’esame degli atti.
Il 22 ottobre 2010 al processo, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, depose un verbale di sue dichiarazioni e un memoriale dattiloscritto del padre Vito assieme ad altri documenti riguardanti la strage di piazza Fontana e il golpe Borghese. Ciancimino jr. sostenne di avere appreso dal padre che De Mauro sarebbe stato ucciso su "input istituzionali", di apparati dello Stato.