A inizio udienza il pm Andrea Tarondo ha depositato al gup le dichiarazioni dei due pentiti Antonino Giuffre', ex braccio destro di Bernardo Provenzano e di Tullio Cannella.
La difesa di D'Ali', gli avvocati Gino Bosco e Stefano Pellegrino, ha depositato invece le sentenze di alcuni processi alla mafia trapanese in cui, come sottolineano, "non si fa alcun accenno al senatore D'Ali'". Citato inoltre come teste l'ex capo della polizia, il prefetto Gianni De Gennaro. Durante l'udienza preliminare alcune associazioni antiracket tra cui quella marsalese 'Io non pago il pizzo' e il Centro Pio La Torre, hanno chiesto la costituzione di parte civile.
In passato per due volte la Procura palermitana aveva chiesto l'archiviazione dell'inchiesta ma il gip aveva disposto nuove indagini. A ottobre la Dda aveva chiesto il rinvio a giudizio di D'Ali', accusato di "avere messo a disposizione di Cosa nostra le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di senatore e di sottosegretario". Secondo l'accusa D'Ali' sarebbe intervenuto "ripetutamente presso organi istituzionali e uffici pubblici al fine di inibire o ostacolare le iniziative a sostegno delle imprese sequestrato o confiscate".
13,30 - Nessun rinvio a giudizio per D’Alì. Stamani solo il rinvio tecnico dell’udienza. Ecco una sua dichiarazione: «Il mio è un caso assolutamente orginale. Anni di indagine hanno portato ad una richiesta di archiviazione e senza che il Gip la rigettasse tale richiesta è stata trasformata all’improvviso in richiesta di rinvio a giudizio.
Nel panorama delle orginalità e degli errori che la nostra giustizia ci riserva questa è quella che oggi riguarda il cittadino Antonio d’Alì.
Evidentemente vi sono una o due persone che stanno facendo sforzi immani per farmi apparire diversamente da quel che sono, cioè una persona perbene ed onesta. Sono comunque certo che non ci riusciranno.
Oggi la notizia è che subiamo un nuovo rinvio a causa del deposito di documenti (un giorno prima dell’udienza!) da parte dei PM e ciò, unitamente alla decisione di trasformare la richiesta di archiviazione in rinvio a giudizio, comicia a configurare una concreta forma di prassi volutamente dilatoria da parte dell’accusa.
Personalmente invece, anche per non gravare economicamente sulle spalle dei cittadini e per esigenza di giustizia, farò in modo che questo processo termini al più presto, ponendo fine rapidamente al palese errore giudiziario e quindi farò tutto quello che la legge mi consentirà per accorciarne i tempi senza utilizzare eventuali prerogative legate al mio status di parlamentare».
09,00 - .Oggi per Antonio D'Alì è il giorno più lungo, perchè a Palermo il Gup Gianluca Francolini dovrà pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio emessa dai sostituti procuratori Paolo Guido e Andrea Tarondo e dall’aggiunto Teresa Principato.
L’accusa per l’ex sottosegretario all’Interno, quindi, è quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Perché, secondo i magistrati, D’Alì avrebbe “messo a disposizione di Cosa nostra le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di senatore e di sottosegretario” e “intrattenuto fin dai primi anni '90, anche ai fini della ricerca del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco della mafia come il superlatitante Matteo Messina Denaro e il boss Vincenzo Virga”.
Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, boss di Castelvetrano, lavorò da campiere nelle tenute della famiglia D’Alì. Ma quello che fa scattare l’accusa di connivenza con Cosa nostra da parte dei Pm è la compravendita di un terreno dei D’Alì in contrada Zangara, a Castelvetrano. E ancor di più non tanto la conoscenza con i Messina Denaro, ma la figura del “principe di Rochefocauld” Giuseppe Fugaldi che amministrava alcuni possedimenti in Sardegna dei D’Alì.
Per i debiti causati da Fugaldi la famiglia del senatore fu costretta a vendere il terreno in contrada Zangara. Secondo l’accusa quel terreno è stato venduto solo fittiziamente, ovvero la cessione fu gratuita a favore dei prestanome dei mafiosi. Infatti il terreno finì direttamente nelle mani di Francesco Geraci, fidatissimo dei Messina Denaro e dei Riina, e sul quale il giovane Matteo avrebbe vendemmiato. Quello “è il principio di ogni malaffare” scrivono i pm. Per i legali del senatore, Gino Bosco e Stefano Pellegrino, di quel terreno D’Alì non ne seppe più nulla dal 1982, cioè da quando firmò un compromesso con il confinante Giuseppe Passanante senza però mai concludere l’atto di vendita, con la quale ci sarebbero stati elevati obblighi economici. “Al massimo può essere imputato per evasione dell’Invim, reato ormai prescritto, perché D’Alì ricevette i 500 milioni di vecchie lire e non fece più l’atto".
Oggi il Gup, non dovrà basarsi solo su queste carte. Per i magistrati, il senatore ha messo a disposizione anche le proprie risorse economiche e politiche al servizio di Cosa nostra, dei boss Ciccio Pace di Paceco, dei Messina Denaro di Castelvetrano, di Vincenzo Virga di Trapani. Rapporti anche con Nino Birittella, ex affiliato all’organizzazione e oggi collaboratore di giustizia. Per i pm ci sono gli appalti e l’aver “ostacolato le iniziative a sostegno di imprese sequestrato o confiscate ai clan come la Calcestruzzi Ericina” a favore di altre imprese come la Sicilcalcestruzzi e la Vito Mannina, “intervenendo su procedimenti relativi ad appalti pubblici, come quelli inerenti alla Funivia di Erice, il porto di Castellammare del Golfo” e altri “per favorire il controllo di attività economiche di Cosa nostra”. Alle carte dei pm, i legali di D’Alì rispondono con altre carte fatte soprattutto delle dichiarazioni di persone che negano eventuali interessi del senatore nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Come Vincenzo Morici, figlio dell’imprenditore edile Francesco, Carmelo La Guttata, ingegnere dell’Agenzia delle entrate. Poi c’è Nino Scarpitta, ingegnere chiamato nel 2005 dall’autorità portuale di Trapani per periziare alcune video camere nella stanza del commissario Emilio Baroncini, che parla dei lavori da 40 milioni di euro al molo Ronciglio di Trapani. E sempre sugli appalti le dichiarazioni degli ingegneri Francesco De Luca e Paolo De Girolamo scagionerebbero - secondo la difesa - il senatore trapanese
Agli atti il Gup Francolini troverà anche le intercettazioni ambientali e telefoniche dell’accusa, nonché le dichiarazioni dei collaboratori. Ci sono ad esempio le parole del boss di Villabate, Nino Mandalà, che disse che “con D’Alì si poteva parlare”. E tanto ha parlato Nino Birittella. L’ex presidente del Trapani Calcio ha parlato dell’appoggio della mafia a Forza Italia alle elezioni del ’94 e 2001, i lavori per la Coppa America.
A questi documenti presentati dalla Procura gli avvocati di D’Alì hanno replicato con le dichiarazioni rese dall’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. L’ex prefetto di Trapani Giovanni Finazzo ha testimoniato invece sui lavori per le fasi preparatorie della Coppa America. A favore di D’Alì anche il leader di Forza del Sud Francesco Miccichè, ex Forza Italia. Poi anche l’ex presidente di Confindustria Marco Bresciani, il direttore Francesco Bianco e il direttore del sindacato delle imprese edili Salvatore Franco.