I mafiosi, da tempo, avevano sotto controllo il mercato dell’olio. Il prezzo lo facevano loro, e nessuno poteva fargli concorrenza a Campobello. Una mafia che fa business con il prodotto tipico della zona. Dalle carte dell’inchiesta esce anche questo.
Ci sono due aziende olivicole che in poco tempo conquistano il mercato della zona. Una è la “Fontane d’oro”, l’altra la “Eurofarida”. La prima sequestrata nell’ambito dell’operazione Golem. Alla seconda invece i sigilli sono scattati proprio in Campus Belli. Valore dell’azienda, 2 milioni di euro. E c’è anche un consorzio fra olivicoltori, il cui scopo era quello di “determinare i prezzi delle olive senza sottostare alle regole del mercato, bensì avvalendosi della capacità di intimidazione dell'associazione mafiosa”.
Ci sono i capi mafia, Leonardo Bonafede e Francesco Luppino, e come in ogni storia di business legato a cosa nostra ci sono i prestanome.
La Eurofarida nasce nel 1996, è riconducibile a Stefania Maniscalco, moglie di Antonino Moceri, arrestato nell’operazione, e Antonino Tancredi. Negli anni Moceri, che era di fatto amministratore della società, e Tancredi cedono ai vertici di cosa nostra grandi quote della società, restandone fittiziamente ancora proprietari. Ma nei fatti, il tutto era gestito dalle cosche. In particolare la gestione dell’Eurofarida era in mano a Leonardo Bonafede, Simone Mangiaracina e Cataldo La Rosa.
L’azienda va bene e per un periodo si parlò anche di fare entrare nella società Giuseppe Grigoli, l’uomo Despar, cassiere di Matteo Messina Denaro condannato a 12 anni. Grigoli, nelle intenzioni dei campobellesi, doveva finanziare la ditta olivicola con 100 mila euro. Poi cadde tutto, Grigoli venne arrestato e l’affare saltò. Allora ci si spostò prima verso lo stesso Luppino, poi verso l’imprenditore Filippo Greco.
L’Eurofarida comandava il mercato. Quando si parlò del consorzio si intravide la possibilità di fare entrare il Gruppo Curaba operante a Castelvetrano. Curaba però voleva espandersi. Pensò di prendere due magazzini, uno a Campobello e uno a Castelvetrano. I boss campobellesi però bloccarono tutto. “Qui ci siamo noi, quello vuole fare il magazzino qui. Perché non se li apre tutti e due a Castelvetrano. Non ha bisogno di nulla, solo per mangiarsi a Campobello”. A parlare col boss Bonafede era Moceri, aveva paura che Curaba rubasse fette di mercato all’Eurofarida. L’azienda faceva affari anche oltre lo stretto. Il canale privilegiato era Napoli. Curaba stava minando anche quello. Moceri infatti raccontò al vecchio Bonafede che il cliente di Napoli gli telefonò “incazzato”: “Voi ci avete trattato male. Peppe Curaba, invece, stamattina mi ha mandato due camion, che noi neanche li volevamo... il prezzo è più basso, il prezzo è più basso”. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Curaba non fece più quel magazzino a Campobello e saltò anche il consorzio. Rischiava di mangiarsi tutta la torta. E questo per stessa ammissione di Moceri: “Minchia, cu iddu nuatri nun ci potemo”.