Nell'udienza del 13 Giugno, invece, spazio all'interrogatorio del collaboratore di giustizia Roberto Sipala, che doveva essere ascoltato la settimana scorsa, ma non si è presentato in aula. Pubblica accusa e difesa avevano valutato l’opportunità di acquisire i verbali. Ma i difensori, dopo una valutazione, hanno deciso di non dare il consenso chiedendo alla Corte di disporre la citazione del collaborante.
Chi ha sparato non sarebbe stato un esperto. L’esplosione del fucile, durante l’agguato al giornalista Mauro Rostagno, assassinato la sera del 26 settembre del 1988 a Valderice, sarebbe frutto di un errore. Il sicario avrebbe eccessivamente avvicinato la canna al lunotto dell’auto determinando lo scoppio. Una clamorosa svista, secondo l’ispettore Biagio Manetto, del Gabinetto regionale di Polizia Scientifica, ascoltato nel corso dell'ultima udienza. «Qualunque cacciatore – ha spiegato il perito – sa che non è consigliabile sparare da distanza eccessivamente ravvicinata».
Le conclusioni dell’ispettore Biagio Manetto, chiamato a deporre dagli avvocati Vito e Salvatore Galluffo, difensori di Vito Mazzara, divergenti da quelle di altri periti, rimescolano le carte.
Ma il dato indicato dall’ispettore Biagio Manetto è stato contestato da più parti. L’avvocato di parte civile Elio Esposito, rappresentante dell’associazione Saman, ha ricordato che un altro perito, il colonello Giovanni Lombardi, aveva escluso l’esplosione dell’arma. Ma le conclusioni dell’ispettore Biagio Manetto divergono anche su altri importanti punti. Secondo il perito, nel corso dell’agguato sarebbero stati usati più fucili. Il primo, dopo lo scoppio, sarebbe stato inservibile. Secondo il perito, inoltre, Mauro Rostagno sarebbe stato raggiunto, dapprima, da due colpi di revolver e poi da quelli di fucile.
Una dinamica che contrasta con quella di altri due periti, il professore Livio Milone e l’ispettore Emanuele Garofalo, che sono già stati sentiti nel corso del dibattimento.