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15/06/2012 13:27:04

Quegli strani "dolori di crescita"

Però provoca, nel bambino e nella famiglia, momenti di apprensione. Ma cosa sono i cosiddetti “dolori di crescita”? Esistono davvero?
In effetti, molti autori tendono a scartare questa definizione, in quanto escludono che nel determinismo del dolore agli arti c’entri la crescita del bambino, come se, nel momento della crescita, il periostio (definiamolo come una seconda pelle dell’osso) non seguisse lo sviluppo dell’osso, andandogli troppo stretto e quindi provocasse i dolori. A onor del vero, e per onestà intellettuale, bisogna ammettere che le vere cause dei dolori di crescita restano ancora sconosciute. Altri autori parlano più genericamente di “dolori ricorrenti agli arti nell’infanzia”, avanzando varie ipotesi, tutte plausibili, ma nessuna predominante: l’idea di una causa anatomica da la responsabilità dei dolori a un difetto posturale o ortopedico, quali per esempio la scoliosi, la lordosi, il ginocchio valgo o il piede piatto; altra teoria è quella dell’affaticamento, cioè dell’accumulo di metabolici, scarti derivanti dall’intensa attività fisica del bambino che, raccogliendosi durante la giornata, provocherebbero i dolori a livello dei muscoli.

Altri autori, infine, danno importanza ad una causa psicologica, intendendo i dolori agli arti come un disturbo emozionale del bambino, una reazione ad una grave perdita. Il piccolo che accusa dolori agli arti ha un’età compresa tra i 3 e i 12 anni, con una maggiore frequenza all’incirca verso i 6; può essere indistintamente un maschietto o una femminuccia ed intervalla periodi di benessere ad altri di riacutizzazione. Il dolore si presenta prevalentemente verso la fine della giornata o nel pieno della notte, colpisce ambedue gli arti, sia contemporaneamente sia alternativamente; quasi sempre, il bambino indica zone muscolari (porzione anteriore della coscia, polpaccio, regione posteriore del ginocchio, meno frequentemente le braccia) e non articolari e, in molti casi, è sufficiente un massaggio per fare scomparire o diminuire di intensità il dolore; meno frequentemente c’è bisogno di un analgesico, ad esempio il paracetamolo.

Al risveglio, il piccolo non lamenta più alcun dolore, cammina normalmente, senza zoppicare. Il persistere dei disturbi o il loro ripresentarsi induce i genitori a consultare il pediatra, il cui compito è quello di escludere patologie serie e, successivamente, di tranquillizzare famiglia e bambino. Per fare ciò, occorre una completa anamnesi, cioè una corretta informazione sul tipo di dolore accusato, la sua sede, l’insorgenza, la frequenza, la durata e l’impatto che ha sulla qualità di vita del bambino. Si procede ad un’attenta visita, controllando i siti del dolore, se ci sono segni di pregressi traumi, se c’è rossore e/o edema, se i movimenti passivi e quelli attivi provocano dolore, se, infine, sono presenti tumefazioni o masse sospette. Un semplice esame del sangue che comprenda un emocromo completo, i cosiddetti indici di flogosi (infiammazione), VES e PCR, e gli enzimi muscolari, aiuta ad escludere patologie più serie. Qualora gli esami dessero valori sospetti, ulteriori indagini di tipo radiologico (radiografia, TAC, risonanza magnetica) servirebbero a togliere qualsiasi dubbio ed indirizzare verso una corretta diagnosi e terapia.

Considerando la benignità della stragrande maggioranza dei casi che si verificano e la loro autolimitazione nel tempo, fino alla scomparsa in età adolescenziale, preso da una sorta di romanticismo medico, preferisco continuare a chiamarli “dolori di crescita”, dando loro un significato di fastidio provvisorio e benigno, quasi alla stessa stregua della dentizione.

 

Angelo Tummarello - Pediatra