A muovere la Procura le recenti dichiarazioni del pentito Maurizio Di Gati, ex boss di Agrigento, in cui si parla delle modalità delle richieste di voti. Le dichiarazioni -è la tesi della Procura- aggiungono un «novum» secondo cui la richiesta di voto non sarebbe stata selettiva, rivolta «ad personam», ma conosciuta in tutto il rione. Da qui, secondo i Pm, discende l’applicabilità dell’aggravante contestata in aula. Le condizioni di omertà in cui vivevano le persone del quartiere erano tali -ha argomengtato il Pm Zuccaro- che nessun rivale politico denunciasse che un altro candidato avesse l’appoggio dell’associazione mafiosa, facendo emergere una sorta di «paura estesa», che si collega secondo la Procura alla «forza di intimidazione» di Cosa nostra.
«Ho uno spazio molto ristretto», ha affermato il giudice Fichera lasciando l’aula. Le parole sembrano riferirsi al fatto che, con l’aggravante di mafia, la competenza non sarebbe più del giudice monocratico ma passerebbe al Tribunale. In tal caso, il processo dovrebbe ricominciare daccapo.