La prima sosta è all’ingresso del cimitero dove 20 anni addietro, in una altrettanto calda giornata di fine luglio (ma poteva anche essere uno dei primi giorni di agosto), arrivò, portata a spalla da alcune donne, la bara dove dentro erano state composte le spoglie di Rita Atria, la ragazza che il 26 luglio si era uccisa a Roma, lanciandosi nel vuoto, dal sesto piano della palazzina di via Amelia dove viveva “nascosta” con la cognata, Piera Aiello: la loro colpa che le ha costrette a fuggire da Partanna a vivere lontano con altre identità e sotto protezione, quella di essere diventate “testimoni di giustizia”.
Nel loro paese sono rimasti, e ci sono ancora oggi, gli uomini da loro accusati, le due donne dovettero andare via dopo avere conosciuto la violenza mafiosa, per avere visto uccisi genitore, fratello e marito, Vito e Nicola Atria, padre e fratello di Rita, suocero e marito di Piera. Due donne che furono rinnegate dalla famiglia Atria, e ancora da tutta Partanna. Piera Aiello ricorda con poche battute quel momento della fuga, “costretta a prendere una valigia di cartone, trascinare per mano mia figlia che aveva tre anni”. Rita si uccise una settimana dopo la strage di via D’Amelio, si era aggrappata a Paolo Borsellino e la morte del giudice la sconvolse fino a farle compiere quell’insano gesto. Partanna la accolse con le finestre chiuse, nessuno la andò ad accogliere, c’erano solo le associazioni antimafia, le donne e gli uomini venuti anche da lontano. Restò chiusa anche la Chiesa Madre, per ordine del vescovo dell’epoca, Rita suicidatasi non meritava il funerale. Oggi un altro vescovo, mons. Mogavero ha posto rimedio celebrano lui la messa di commemorazione. Torniamo al cimitero. All’arrivo c’è un uomo, è sudato, come noi, scocciato, noi no. Chiediamo della cerimonia e lui si lamenta, dice che ancora non c’è nessuno e non sa ancora quanto deve aspettare, “non sono di Partanna dice, ma ho dovuto fare io il turno di oggi pomeriggio perché gli altri che sono del luogo non ci sono voluti essere”. Poche parole per capire che l’andazzo non è cambiato. Una ripida salita per arrivare alla Chiesa Madre dove c’è già un bel po’ di gente che si è raccolta, pochissimi i partannesi, c’è il sindaco Cuttone, qualche assessore e consigliere, i partannesi…guardano dalle finestre, non escono anche quando il corteo comincia sfilare, stavolta si torna al cimitero. Don Luigi Ciotti cammina a piedi con tantissima altra gente, giovani, tantissimi, tiene tra le mani la lapide in marmo che solo simbolicamente verrà posta sulla tomba di Rita, al suo fianco tanti familiari di vittime della mafia a cominciare da Margherita Asta, dai genitori dell’agente Agostino, il poliziotto ammazzato a Palermo una calda estate del 1989, era il 5 agosto, con lui i killer uccisero anche la moglie, incinta. I politici stanno in mezzo al corteo, ci sono Sonia Alfano, presidente della commissione antimafia del Parlamento Europeo, l’on. Beppe Lumia, il presidente del Consiglio provinciale Poma, restano confusi tra la gente presente, così come confusa nel corteo c’è Piera Aiello, tiene una rosa bianca tra le mani, è il fiore che Rita amava tanto. L’arrivo al cimitero è segnato da una prima sorpresa, i referenti di Libera della provincia di Trapani, guidati dal coordinatore Salvatore Inguì, si staccano dal corteo e Gisella Mammo Zagarella, referente del presidio del capoluogo, tira fuori martello e chiodi da una borsa che porta a tracolla, e poi una targa ben coperta, viene collocata all’ingresso del cimitero, si legge, “in questo cimitero riposa Rita Atria testimone di Giustizia”. Così che chi entra sappia. Il corteo continua fino alla tomba di Rita, qui si vive un lungo momento di silenzio, rotto infine da don Luigi Ciotti. Sono parole pesanti ma che allo stesso tempo vogliono stemperare gli animi, parole di richiamo ma anche di forte appello alle coscienze. “Non basta commuoversi – dice don Luigi – ma muoversi, Rita ci esorta ad essere noi tutti capaci ogni giorni di essere testimoni di giustizia dinanzi alle illegalità spacciate per legalità che si compiono, dinanzi a chi intende possa esistere una legalità malleabile, questa tomba è senza lapide, speriamo di metterla, ma intanto la vera lapide è quella che dobbiamo portare nelle nostre coscienze, cercando verità e costruendo giustizia dobbiamo ricordare Rita”. Poi il richiamo alle istituzioni: “Rita ci ha lasciato scritto – ha affermato don Ciotti – come nel nostro Paese abbiamo bisogno di tanta verità, ancora oggi, abbiamo bisogno di una politica chiara e trasparente”. E rivolto al dirigente della sezione anticrimine della questura, l’ex capo della Mobile Giuseppe Linares, che ieri a Partanna rappresentava il questore Esposito, lo ha salutato e ha invitato tutti a sostenerlo, “bisogna lasciarlo lavorare anche se ogni tanto qualcuno non lo permette”. Le ultime parole di don Luigi sono state rivolte ai familiari di Rita: “Un pensiero alla sorella e alla mamma di Rita, noi speriamo che escano da questa cultura del ripiegarsi su se stessi ma nessuno giudichi, speriamo che con noi possano costruire nuovi percorsi con dignità e forza”. Con la sua chiarezza però don Ciotti ha espresso da che parte bisogna stare: “Stiamo dalla parte di Piera Aiello per vivere perfettamente quello che ci ha lasciato Rita”. “Noi oggi andremo via da Partanna con la responsabilità di sapere di doverci muovere di più…..lo spirito è il vento che non lascia mai dormire la polvere”, mai frase è risultata giusta (citazione di Davide Maria Turoldo). In Chiesa la messa con le parole attese del vescovo Mogavero che ha presieduto alla celebrazione. Parole rivolte alla comunità di Partanna. Nessuno potrà dire di non avere capito. L’obbligo della riconciliazione, del perdono, e della pace, sono stati i cardini dell’omelia del vescovo Mogavero e con le parole del Vangelo ha descritto cosa è oggi la comunità di Partanna, «guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono…il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!». Ecco da dove bisogna cominciare a cambiare e come cambiare: “La capacità di vedere parte dal cuore: chi ha il cuore freddo e indifferente non riesce a vedere e non è capace di ascoltare; chi ha cuore buono e partecipe coglie il senso della realtà e degli eventi e sa interpretarli correttamente, lasciandosene ammaestrare. Questo significa che l’osservazione di ciò che accade attorno a noi è questione di cuore e che, pur vedendo e sentendo le medesime cose, si può reagire in modo diverso a seconda di come il cuore fa vedere e sentire quelle stesse cose…Noi siamo qui stasera proprio per guardare alla vita e alla morte di Rita con il cuore, non per capire, ma per accettare; non per giudicare, ma per riconciliare; non per maledire, ma per custodire la memoria; non per contrapporre, ma per pacificare. È tempo, dopo venti anni, di liberare il sogno di chi ha creduto e crede nella capacità delle persone di vivere relazioni fondate sull’amore e sulla fratellanza; di chi si spende e muore per la pace e la giustizia; di chi dice basta alla violenza e alla sopraffazione di qualsiasi origine e genere ed è disposto a pagare di persona; di chi guarda non al proprio interesse, ma al bene comune per il quale sa sacrificare tutto, anche la propria vita”. La mafia non è invincibile ha ripetuto il vescovo e ha ricordato che questo è stato dimostrato grazie “agli indifesi, i piccoli – in una parola i giusti – ad avviare l’opera di demolizione delle iniquità e malvagità diffuse. Essi, in apparenza, sono stati dei vinti perché hanno dovuto cedere alla violenza delle armi o alla sconforto della solitudine. Ma in effetti sono gli autentici vincitori che hanno detto: “basta” e hanno cambiato il corso della storia; e i loro nomi benedetti sono scritti in cielo”. E rivolto alla comunità di Partanna: “Questa terra di Partanna in particolare, ha una aspettativa straordinaria di vita nuova che incida sulla qualità della vita delle persone e sulle relazioni interpersonali e con la realtà nella quale vivono. È una novità che dice accoglienza e rispetto della vita e dell’altro, giustizia, legalità per costruire un sviluppo vero e autentico, che – come ammoniva Giovanni Paolo nella sua visita a Mazara del Vallo il 9 maggio 1993 – «non può fondarsi sul solo profitto economico, il quale anzi, se assolutizzato, porta alla corruzione. È indispensabile che l’intera comunità civile cresca e si fondi su forti valori morali, e la fonte di tali valori, voi ne siete consapevoli, è spirituale!”. Le ultime parole del Vescovo sono state rivolte alla famiglia, il 26 luglio è il giorno dedicato a Sant’Anna, i santi Gioacchino e Anna sono la base della famiglia cristiana: “La loro è una famiglia che ha costruito la sua pace in una relazione paziente, nell’accettazione reciproca, caratterizzata dalla sofferenza per la mancanza di figli, sempre implorati da Dio. E la fede dei due coniugi fu benedetta con la nascita di Maria, colei che tutte le generazioni avrebbero chiamato beata. Ai due santi chiediamo di intercedere presso Dio perché egli, nella sua bontà misericordiosa, dia riconciliazione e pace alla famiglia Atria, provata dolorosamente nei suoi legami affettivi e con un assai gravoso tributo di sangue; dia pace a questa città di Partanna, segnata profondamente dalle micidiali e odiose guerre di mafia; dia pace alla Sicilia, terra benedetta da Dio ma deturpata da mali secolari e da insipienze umane. Dopo vent’anni da quel 26 luglio 1992 osiamo sperare – e per questo preghiamo – che si chiuda un capitolo assai doloroso della storia recente”. A tanti ha parlato il vescovo Mogavero, presenti e assenti, alla famiglia di Rita (qualche parente era in chiesa, per poi andare via quando ha preso la parola Piera Aiello), a chi oggi nel nome di Rita ha rischiato di provocare divisioni. In effetti non ci sono state divisioni perché mattina e pomeriggio del 26 luglio in tanti hanno avuto il merito di fare scorrere, sentire, il nome di Rita per le strade di Partanna, “Rita – ha concluso don Ciotti – ci impone a tutti scelte secondo verità e riconciliazione, facendo memoria”.
Rino Giacalone
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