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03/10/2012 08:08:18

"Così si vive all'interno del Cie di Trapani Milo. Ecco perchè ho tentato la fuga"

Un poliziotto mi ha pure afferrato per un piede mentre tentavo di scappare. Ho visto tutti gli altri allontanarsi mentre io sono rimasto a terra. Solo io e altri 5 non ce l’abbiamo fatta. Ho scelto di fuggire perché ho capito che là dentro non avevo scelta”. E’ la testimonianza, resa in francese, da un tunisino di 26 anni, che sabato scorso, intorno alle 17,30, ha tentato la fuga insieme a una quarantina di connazionali dal Centro di identificazione ed espulsione di Milo, alla periferia di Trapani. Una corsa, che per il giovane migrante, è terminata all’ospedale Sant’Antonio Abate. Dal letto del reparto di Ortopedia, dove è ricoverato in attesa di un intervento chirurgico previsto per oggi e senza alcuna vigilanza, accetta di raccontarsi. “Abbiamo scelto di fuggire a quell’ora del pomeriggio perché c’era una partita di calcio e quindi era un momento di distrazione” prosegue, addentrandosi nella sua storia che inizia in Tunisia, quando a causa della partecipazione a una manifestazione politica, è costretto ad abbandonare il suo lavoro di pittore di appartamenti e a intraprendere la traversata insieme a una novantina di persone e dietro pagamento di 2.500 dinari, all’incirca 1800 euro. “Al Cie di Milo sono arrivato il 27 agosto scorso – dice – tre giorni dopo il mio sbarco a Lampedusa. Anche lo scafista è stato catturato e portato al Cie di Milo, ma ha negato di averci condotto in Italia ed è stato rimpatriato. Sono finito a Milo perché non mi avevano identificato. Ma dopo, quando hanno saputo chi fossi, mi sono rivolto agli operatori per chiedere di presentare istanza per l’asilo politico ma non mi hanno dato ascolto”. Della vita all’interno del Cie, dice: “In tutto siamo 163 persone provenienti da Marocco, Tunisia e Centro Africa. In una stanza stanno fino a 7-8 e qualcuno dorme su materassi sistemati a terra. L’igiene scarseggia e la nostra religione è poco rispettata, spesso ci danno carne di maiale da mangiare”. Il giovane migrante, che mostra il cellulare con
la fotocamera rotta, secondo quanto racconta, dagli agenti al suo arrivo a Milo, riferisce anche di presunti maltrattamenti. “E’ tutto brutto ciò che avviene lì – rivela - Non abbiamo il permesso di uscire all’aria aperta e veniamo perquisiti e controllati 3 volte al giorno. Una volta, dopo aver chiesto lo shampoo, ho battuto qualcosa contro le sbarre per attirare l’attenzione e sono stato picchiato da diversi poliziotti. Uno di questi agenti ha anche fracassato la testa a un marocchino che è stato portato in ospedale e poi di nuovo al Cie. Ci sono 60-70 poliziotti ogni turno”. Secondo il tunisino, nella struttura di detenzione amministrativa si troverebbero
anche 3 minori, persone affette da diabete e altre con problemi psichici. “Fanno loro delle iniezioni per calmarli – afferma – e non stanno in reparti riservati, ma insieme a tutti gli altri”. In ospedale, il giovane si trova ad affrontare tutto da solo: racconta di non aver ricevuto visite o telefonate dal personale che gestisce la struttura. E anche le forze dell’ordine, che lo hanno sorvegliato i primi giorni, hanno interrotto il piantonamento dal momento che è immobilizzato a letto.
“In ospedale mi hanno trattato bene, anche se non ci capiamo perché qui nessuno parla francese. Sono stato aiutato soltanto da un paziente che era ricoverato nella mia stanza e che conosce il francese. Solo lui ora mi viene a trovare – afferma – Mi è sembrato di capire dai medici che dopo l’operazione dovrò aspettare 30-35 giorni prima di tornare a camminare”. E dopo? “Non so dove mi porteranno, anche se ho paura di tornare al Cie di Milo”. Nel suo domani, però, l'extracomunitario non vede né il suo Paese di cui dice “non c’è molta libertà. Abbiamo paura dei salafiti”, né l’Italia alla quale riserva una smorfia delusa: “è come tutti gli altri Stati”. La sua meta è oltralpe, la Francia dove lo aspettano lo zio e un fratello e dove era diretto sabato. “E’ un posto migliore” sibila.