Proprio il giovane De Vita è stato incastrato, in questo processo, da un'intercettazione in carcere. Lo ha detto l'ispettore capo della polizia Vincenzo Marino: "Fu grazie ad un'intercettazione in carcere che capimmo che De Vita era il terzo uomo in quella vicenda". I fatti risalgono al 2002. L'estorsione, ai danni della farmacia, era di 50 milioni di lire. Non è la prima volta che Vito De Vita viene processato per questi fatti: già fu arrestato per un'altra tentata estorsione e per detenzione di cocaina e munizioni.
Nella vicenda della tentata estorsione alla farmacia Bonfanti, dunque, sono coinvolti in tre: De Vita, appunto, il fratello Vincenzo, e lo zio Nicolò Titone. Questi ultimi due furono arrestati in flagranza di reato, poi, in carcere, si tradirono. Erano stati infatti arrestati mentre erano proprio di fronte la farmacia, a cercare di compiere un attentato intimidatorio, solo che la farmacista titolare del negozio li aveva già denunciati, e la polizia fu pronta ad arrestarli. Una volta in carcere si dissero queste parole: «Meno male che non c’era Vito in auto, altrimenti arrestavano pure lui…». «Non potevano parlare di altri se non di Vito De Vita - ha detto, ieri, l’ispettore Marino - si tratta dell’unico Vito in quella sfera familiare». E sarebbe stato proprio lui, il 6 marzo 2002, a telefonare in farmacia dicendo: «Che fate? Il tempo è scaduto». «Nicolò Titone - ha inoltre dichiarato l’ispettore Marino rispondendo alle domande del pm Anna Cecilia Sessa - è quello che, di notte, ha messo dentro la saracinesca della farmacia una busta di plastica con dei proiettili. L’abbiamo accertato visionando il filmato della telecamera posta all’ingresso». Per intimorire la vittima, davanti alla farmacia fu lasciato anche un bidone di benzina.Vincenzo De Vita e Nicolò Titone per questa vicenda sono già stati condannati a 2 e 3 anni di reclusione. Resta da chiarire solo la posizione del giovane Vito De Vita . A difendere De Vita sono gli avv. Stefano Pellegrino, Enzo Genna e Giacomo Frazzitta.