La Corte costituzionale "in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell'ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l'immediata distruzione ai sensi dell'articolo 271, 3° comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti". Lo riferisce una nota della Consulta.
Le conversazioni intercettate casualmente nel corso delle investigazioni su Mancino, la Procura le ha giudicate irrilevanti e destinate alla distruzione attraverso le procedure di legge. Cioè affidandole al Gip che decide sentite le parti: una modalità che secondo il Colle, le cui tgesi sdono state accolte dai giudici delle leggi, minaccerebbe la riservatezza delle comunicazioni e quindi lederebbe prerogative funzionali tipiche del presidente della Repubblica.
E comunque, ha sostenuto oggi nell'udienza pubblica alla Consulta l'Avvocatura dello Stato che rappresenta il Quirinale, quelle intercettazioni per quanto casuali "sono diventate illegittime" nel momento in cui hanno coinvolto Napolitano.
Le motivazioni della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha accolto il conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo, in merito alle intercettazioni indirette che coinvolgono il Capo dello Stato, saranno depositate in gennaio. Il documento sara' depositato in cancelleria non prima del nuovo anno, ma prima della scadenza del mandato del presidente della Corte, Alfonso Quaranta, che lascera' la Consulta il 27 gennaio prossimo.
Le reazioni
"Le decisioni della Consulta non si commentano. Ne prendiamo atto". Lo ha affermato il Procuratore Capo di Palermo Franesco Messineo, rispondendo in merito alla decisione della Corte Costituzionale a favore del conflitto di attribuzioni sollevato dalla Presidenza della Repubblica nei confronti della Procura di Palermo.
"Vado avanti nel mio lavoro tranquillo, nella coscienza di avere agito correttamente e ritenendo di avere sempre rispettato la legge e la Costituzione". Lo sostiene il pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, commentando la decisione della Consulta sulle intercettazioni delle conversazioni tra Napolitano e Mancino.
"La Corte Costituzionale ha fatto chiarezza su una situazione non regolata da norme specifiche del codice di procedura penale e che si prestava a diverse interpretazioni. Comunque attendiamo le motivazioni". Cosi' il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, commenta la decisione della Consulta sul conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti dei magistrati di Palermo.
Le tappe della vicenda
Dietro il ricorso del Capo dello Stato alla Corte Costituzionale, con cui Giorgio Napolitano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato verso la Procura di Palermo, c'è il nodo di alcune intercettazioni che hanno coinvolto lo stesso Presidente quando le utenze dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino nei mesi scorsi furono messe sotto controllo dai pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Secondo l'accusa, Mancino - che si insedia al Viminale a inizio luglio 1992 - avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra intercorsi nei primi anni '90, durante la stagione delle stragi.
Oggi Mancino è accusato di falsa testimonianza. Nel periodo che ha preceduto l'avvio del procedimento a Palermo che lo vede con altri imputato, ci sono stati contatti tra lui e il Colle, in particolare telefonate con Loris D'Ambrosio, il consulente giuridico del Quirinale morto il 26 giugno, e in alcune occasioni, con lo stesso Napolitano. Queste ultime conversazioni sono state in tutto quattro, come si è saputo dagli atti depositati per conto della Procura di Palermo su richiesta della Corte Costituzionale durante l'iter del conflitto tra poteri: in due casi a chiamare è stato Mancino, per altro alla vigilia di Natale 2011 e, pochi giorni dopo, il 31 dicembre; in altre due occasioni, a telefonare è stato il Presidente.
Il contenuto delle conversazioni non e' noto, ma la notizia dei colloqui tra i due è finita sui giornali e ha suscitato il caso: quelle intercettazioni andavano distrutte? I pm hanno sostenuto da subito che l'unica via per distruggerle è quella prevista dall'art. 269 del codice di procedura penale, cioè con udienza stralcio di fronte al Gip e alla presenza delle parti, che se interessate possono acquisire atti a loro utili. Un passaggio, quest'ultimo, che mette però in campo un'eventualità: che i contenuti delle intercettazioni diventino pubblici.
Ritenendo lese le proprie prerogative il 16 luglio scorso Napolitano ha sollevato di fronte alla Consulta conflitto d'attribuzione nei confronti della Procura di Palermo. Il relativo ricorso, predisposto dall'Avvocatura dello Stato, è stato trasmesso alla Corte il 30 luglio. Il 19 settembre la Consulta ha giudicato ammissibile il conflitto, ne ha dimezzato l'iter sotto il profilo dei termini temporali, e ha chiesto alla Procura di Palermo quante fossero state le conversazioni di Napolitano indirettamente captate, in che date fossero avvenute, e copia dei decreti che disposero le intercettazioni. Il 12 ottobre, la Procura di Palermo si è costituita in giudizio.
Il 23 novembre Avvocatura e Procura hanno depositato le rispettive memorie. E oggi è giunta la decisione della Corte: il ricorso di Napolitano è stato accolto e le intercettazioni al centro del conflitto andranno distrutte secondo la procedura prevista per le intercettazioni vietate dall'art. 271 del codice di procedura penale. Per conoscere per intero la sentenza e le sue motivazioni, bisognerà attendere qualche settimana, molto probabilmente gennaio.