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31/01/2013 10:01:30

Il piano lavoro della Cgil

 Se qualcuno ha sperato, prima di leggerlo, che si trattasse di una proposta che, ove seguita, può portare buoni frutti, ne resterà deluso. A parte le buone intenzioni di tutti i piani per il lavoro o per la crescita, da chiunque proposti, la cosa importante é che quei piani siano strumentali al miglioramento delle condizioni dei lavoratori e al benessere della società. Altrimenti si tratterà di un altro esercizio di buone intenzioni, di cui é lastricato l'Inferno.
Crediamo che questo nuovo piano della Cgil non possa raggiungere gli scopi perché é vecchio di sessant'anni. Era il 1949 quando Giuseppe Di Vittorio, segretario del sindacato, presentò il suo piano del lavoro, di cui il nuovo sembra il figlio. Ma nel 1949 l'Italia era un'altra. Si usciva da una guerra mondiale tremenda, sconfitti militarmente, economicamente, socialmente. Le industrie stentavano a ripartire, e molte dovevano essere ricostruite. L'agricoltura era stata abbandonata dalle braccia che presero le armi. Il terziario era bloccato dalle difficoltà di trasferimento delle persone e delle merci. La disoccupazione era a livelli record, soprattutto al Sud. I lavoratori emigravano dal Sud con le valigie legate con gli spaghi. In certe regioni si pativa la fame. Il tasso di analfabetismo era altissimo, soprattutto al Sud.
Di tutte queste condizioni, una sola si riproduce ai giorni nostri: la disoccupazione. Troppo poco per proporre i rimedi che Di Vittorio propose sessant'anni fa.
Anche il mondo allora era diverso. L'Italia rimase, per fortuna, sotto l'alta protezione degli Stati Uniti, da cui si aspettavano, e vennero, ingenti aiuti economici.
Oggi, la situazione é completamente diversa. I lavoratori non emigrano più in quantità, a parte i ricercatori e altri specialisti che trovano all'estero l'occupazione. All'interno del paese non c'é più quel flusso continuo di famiglie che riempiva i treni diretti al Nord. la Fiat non accoglie più i lavoratori, semmai vorrebbe licenziarli.
L'agricoltura non attira più i giovani, che hanno una cultura media più elevata, e mal sopportano l'idea di alzarsi la mattina all'alba per andare a prendere il freddo sui campi.
I commercianti offrono ogni tipo di prodotto, utile o voluttuario, ma cominciano a mancare i soldi a chi vorrebbe acquistarlo. La diminuita domanda dei compratori crea problemi ai produttori, che se non vendono, non fanno utili.
Il mondo globalizzato non permette più di proteggere i nostri prodotti dall'invasione di quelli stranieri. Si salvano dalla crisi solo gli imprenditori che, nell'industria, nell'agricoltura e nel commercio, riescono a competere nei mercati mondiali, non solo in quello italiano. Perché si possa competere sono necessari inventiva, capacità, specializzazione. Lo Stato dovrebbe incentivare l'istruzione e la ricerca, perché solo con elevate capacità individuali si può competere nel vasto mondo.
Nel piano del lavoro della Cgil si propongono nuovi interventi dello Stato nell'economia, nuovi lavori pubblici, nuove assunzioni di dipendenti pubblici, tutto in salsa dirigista. Ma é anacronistico pensare che uno Stato più presente nell'economia e nella società possa creare un Paese competitivo. Di solito gli interventi statali addormentano, piuttosto che risvegliare. Alle volte, in passato, hanno avuto successo perché si potevano usare politiche protezionistiche. Ora non più. Ogni nostro prodotto e ogni nostra iniziativa devono vedersela con le imprese di altre nazioni, e vincerà il migliore.
Leonardo Agate