L'uomo riuscì a sopravvivere, ma è rimasto sulla sedia a rotelle. Adesso, disastro colposo e lesioni personali gravissime e permanenti sono le accuse mosse a due persone rinviate a giudizio (prima udienza: 9 luglio) dal gup Annalisa Amato nel procedimento avviato a seguito della caduta addosso a Pipitone di una parte del muro di cinta dello stabilimento vinicolo Florio e dell'impalcatura metallica che vi era stata installata. La Procura ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di Marcello Lombardo, di 30 anni, responsabile di cantiere su incarico della ditta appaltatrice (Gam Costruzioni), e di Giuseppe Maurizio Angileri, di 38, dipendente della «Duca di Salaparuta» (la ditta che ha acquisito la Florio), che era il coordinatore della sicurezza del cantiere. Ha deciso di patteggiare, ed è già stato condannato a un anno e due mesi di reclusione, il 42enne Stefano Gioacchino Catalano, sub-appaltante e manovratore della pala meccanica con cui si stava procedendo alla demolizione di parti interne attigue al muro crollato sulla strada. Ma a pagare per quanto accaduto potrebbe essere anche la «Duca di Salaparuta», che su richiesta del legale della vittima è stata dichiarata dal gup «responsabile civile».
SAVALLI. E’ stato aperto un fascicolo dalla Procura di Trapani su quanto dichiarato da Simona Savalli nel corso dell’ultima udienza del processo per l’omicidio di sua madre, Maria Anastasi, avvenuto brutalmente questa estate nelle campagne tra Erice e Trapani. Imputato è il marito di Anastasi, e padre di Simona, Salvatore, insieme alla sua amante Giovanna Purpura. Dalla testimonianza di Simona è emerso un quadro di estrema volenza: Savalli picchiava brutalmente moglie e figli, li minacciava, in alcuni casi cercò di uccidere proprio la giovane Simona. Quel che è emerso dalla testimonianza di Simona Savalli è che più volte madre e figlia, con grande coraggio, sarebbero andate dalle forze dell’ordine per denunciare il padre e marito, ma senza alcuna conseguenza. Il sospetto è allora, alla Procura di Trapani, che qualcuno non abbia fatto fino in fondo quando magari la vita di Maria Anastasi (uccisa tra l’altro mentre era al nono mese di gravidanza) poteva essere salvata.
CORSA CLANDESTINA. Il botto fece tremare tutti. All'alba del 4 ottobre del 2009. fa due giovani persero la vita durante una corsa d'auto clandestina nel centro di Marsala, in Piazza del Popolo. Un amico delle due vittime, Filippo Monti, di 28 anni, che secondo gli inquirenti si trovava alla guida dell'altra auto, è stato chiamato a rispondere ora di violazione del divieto di gareggiare a velocità con i veicoli a motore. Il processo s'è aperto ieri dinanzi la Corte d'Assise di Trapani, presieduta da Angelo Pellino.
In aula sono stati chiamati a deporre alcuni investigatori che si occuparono del caso. Filippo Maggio, assistente della Polizia di Stato, che la notte tra il 3 ed il 4 ottobre del 2009 era impegnato in un servizio di controllo del territorio, ha riferito di avere visto sfrecciare lungo la via Mazzini due autovetture a forte velocità. «Si trattava di una Fiat Stilo ed una Lancia Y entrambe di colore scuro». Pochi istanti dopo, una delle due auto, la Fiat Stilo a bordo della quale viaggiavano Giovanni De Milito e Salvatore De Castro, entrambi di 19 anni, finì pochi contro un muro. L'impatto fu terribile. «Capimmo subito che i due giovani erano in gravissime condizioni», ha riferito l'assistente. I due giovani morirono poco dopo il ricovero in ospedale. L'altra auto si dileguò senza lasciare traccia. Poco dopo Filippo Monti si presentò insieme con il fratello minorenne presso il pronto soccorso per chiedere notizie dei due amici Sull'autovettura del giovane, ha riferito l'ispettore Tommaso Trapani, della polizia municipale di Marsala, non sono state rilevate tracce di alcun genere.
Secondo Luigi Simonetto, consulente tecnico della pubblica accusa, la Fiat Stilo e l'altra auto viaggiavano, al momento dell'incidente, ad una velocità altissima. Avrebbero raggiunto i 130 chilometri orari. Il conducente della Fiat Stilo stava tentando di superare l'altra vettura. L'alta velocità e la scarsa luminosità gli hanno impedito di evitare l'impatto con il muro. Il consulente, rispondendo alle osservazioni dei difensori, ha dichiarato di non potere escludere che il conducente della Fiat Stilo sia stato costretto ad effettuare la brusca frenata per evitare un cane o un'auto che si stava immettendo sulla strada anche se ha aggiunto di ritenerlo improbabile. Il processo proseguirà il prossimo 22 maggio con le audizioni di altri testi.