La vicenda è l'ennesima storia di violenza sulle donne. Fiorentino non s'era rassegnato alla fine del suo matrimonio. Dopo la separazione aveva iniziato a perseguitare la moglie. Nel cuore della notte, fece irruzione nell'abitazione della coniuge, al quinto piano di palazzina in via Omero, nel rione Sant'Alberto. Si scagliò contro la moglie ed i suoi familiari. Per Stefania Mighali, la figlia, Daniela, la madre, Nunzia Rindinella, e il fratello, Hans Rindinella non c'era stata alcuna possibilità di scampo. Dopo l'uomo accatastò mobili, suppellettili ed altro materiale all'interno della camera da letto ed appiccò il fuoco. Fiorentino si tolse poi la vita lanciandosi nel vuoto. Dopo la tragedia alcuni familiari e conoscenti di Maria Mighali riferirono che la donna era da mesi perseguitata dal marito. «Mia sorella era disperata», raccontò Mariella Mighali. «A causa delle sue continue scenate è stata costretta a lasciare il lavoro ed a licenziarsi. Ha anche presentato tre denunce».
L'inchiesta della magistratura ha tentato di fare luce anche su questo aspetto della vicenda, ma non è emersa alcuna responsabilità.
INCANDELA. Antonio Incandela, l'operaio reo confesso dell'omicidio di padre Michele Di Stefano, sarà sentito nei prossimi giorni nuovamente dal sostituto procuratore Massimo Palmeri che coordina le indagini.La sua versione non convince gli inquirenti. Il nuovo interrogatorio s'è reso necessario per tentare di chiarire alcuni aspetti della vicenda. Incandela dice che non voleva uccidere padre Michele. Si sarebbe recato presso la canonica con l'intenzione di "dargli una lezione". Era risentito nei confronti dell'anziano sacerdote. Sostiene che padre Michele era solito fare riferimento durante le omelie ai peccati dei propri parrocchiani. In almeno un caso l'operaio avrebbe colto nella parole del sacerdote un riferimento alla sua persona. Ma sembra che Antonio Incandela non frequentasse la parrocchia.E questa è solo la prima di una lunga serie di contraddizioni. Non si capisce ad esempio perché se era solo intenzionato a dare una lezione l'operaio prima di entrare in azione abbia spento il proprio telefono cellulare, tolto le scarpe ed indossato guanti. Non si comprende come abbia potuto compiere un errore madornale colpendo la vittima alla testa anziché ai piedi. Contrasti che gli inquirenti sperano di riuscire a chiarire attraverso un nuovo interrogatorio.
VIOLENZA. Due romeni, Mihai Todireanu ed Ioan Foca, di 43 e 29 anni, sono stati condannati rispettivamente ad otto ed a sette anni di reclusione per violenza sessuale. Stuprarono una connazionale. La sentenza è stata emessa dal Tribunale, presieduto da Alessandra Camassa. I fatti risalgono alla notte tra il 16 ed il 17 febbraio del 2012. Mihai Todireanu ed Ioan Foca, ubriachi, insieme ad altri due connazionali, si presentarono con una scusa a casa della donna e del suo convivente, a Balata di Baita. Dopo i primi convenevoli gli uomini mostrarono le loro reali intenzioni. Mihai Todireanu e Ioan Foca abusarono a turno della donna sottoponendola a ripetute violenze sessuali. Un quarto uomo avrebbe cercato di aiutare la donna, senza però riuscirvi, avvertendo successivamente i carabinieri. Grazie alla sua testimonianza, oltre a quella della donna e del convivente, i militari della compagnia di Alcamo riuscirono a ricostruire la notte da incubo e ad identificare gli autori del reato. Da successivi accertamenti emerse che Mihai Todireanu era ricercato dalle autorità romene.