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19/12/2013 07:15:00

Piero Grillo: "Bisogna sfatare il mito delle aziende confiscate alla mafia che falliscono"

Dalla collaborazione fra il Tribunale delle Misure di Prevenzione di Trapani, Libero Futuro e Libera nasce l’olio extra etico di oliva prodotto in una azienda confiscata alla mafia a Campobello di Mazara. L’iniziativa verrà presentata domani a Trapani alle 17.45 presso l’aula bunker del tribunale. Piero Grillo, Presidente dalla Sezione misure Prevenzione del Tribunale di Trapani, come mai questa apertura alla società civile?

 

Questa collaborazione con gli interlocutori della società civile è importante perchè senza loro il nostro lavoro rimane inutile. Nell’amministrazione dei beni sequestrati devono partecipare tutti i componenti della società civile, ci vogliono gli aministratori giudiziari, persone esperte
nell’amministrazione, ci vuole quella parte bella della società civile che ha voglia di volontariato e che ci aiuta nella nostra attività. E’ importante orientare e cercare di effettuare un’opera di convincimento nel consumatore finale. Spero di avere un importante contributo nei partner di questa impresa.

 

Domani sarà una giornata di sensibilizzazione al consumo critico. Con l’olio al centro dell’iniziativa. E’ curioso che il tribunale si apra alla società civile, segno che la lotta alla mafia nel nostro territorio ha bisogno di questi momenti di "creatività".

 

Non è la prima volta che apriamo il tribunale alla società. E’ successo in occasione della commemorazione al giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto. C’è stata la partecipazione sentita della popolazione. Da molto tempo si sente dire che, una volta arrivata l’amministrazione giudiziaria, le imprese che una volta funzionavano, poi chiudono. Allora partendo dall’olio fa piacere spiegare quali sono le difficoltà nell’amministrare i beni confiscare e qual è il costo aggiuntivo per la legalità che il nostro prodotto, legale, deve pagare rispetto ad altre aziende che operano nel settore ma in regime di illegalità.

 

Oggi siamo fermi a quel dato delle 9 aziende su 10 confiscate alle cosche che falliscono una volta passate in mano allo Stato.

 

Vorrei sfatare questo mito. E’ un dato che sento dappertutto con un certo rammarico. Mi trova proprio mentre sto elaborando i dati statistici aggiornati. Spero di poter dire che le cose sono migliorate.

 

Il dato delle nove aziende su dieci che falliscono è fornito a livello nazionale. Magari in provincia di Trapani possiamo rappresentare una felice eccezione.

 

Magari.

 

C’è però bisogno di una fase due nella gestione dei beni confiscati alla mafia: finora lo Stato ha gestito le aziende confiscate quasi con una procedura fallimentare. Tant’è che ogni amministratore che arriva è sempre un commercialista, un tecnico, un burocrate. Secondo lei si può passare a una fase B, in cui viene nominato il manager che invece vuole creare ricchezza?

 

La legge antimafia è un po’ schizofrenica da questo punto di vista. Da una parte impone durante la fase del sequestro di arricchire l’azienda, poi una volta arrivata la confisca la palla passa all’Agenzia dei beni confiscati che dice che il loro compito non è quello di fare impresa ma gestire i patrimoni, quindi esula dal nostro compito quello di fare impresa. Ma al di là di questo noi nell’amministrazione di questi beni ci avvaliamo della preziosa opera degli amministratori giudiziari. Il cui compito da una parte è amministrare, dall’altra è fotografare lo stato dell’azienda per farci capire quanto è “mafiosa”. Abbiamo proprio constatato che il commercialista è stato affiancato da una figura che è quella del coadiutore. Abbiamo individuato una persona capace di occuparsi di uliveti e abbiamo affidato a questo signore il compito di coadiuvare nella gestione del bene. Saprà amministrare nei termini di legalità l’azienda.

 

Anche in questo senso Trapani si conferma un modello nazionale.

 

Non siamo gli unici, però questo approccio libero è importante. Occorre, secondo noi, inserire nei casi importanti un tecnico, un esperto del settore. Il problema è che magari è difficile trovare delle figure del genere. Spesso tante aziende hanno una dimensione personale.

 

Sono conosciute per il proprietario storico, che magari era mafioso ma aveva sempre tanta liquidità.

 

Esatto. Per cui venuto meno l’impulso che dà il titolare che subisce il provvedimento, queste aziende perdono la loro forza propulsiva che ha nel mercato. L’azienda perde di competitività, e non a causa dell’amministrazione dello Stato. Per questo a volte si deve avere il coraggio di dire “questa azienda non la possiamo gestire, si deve chiudere”. Le risorse vanno orientate discernendo quello che è possibile amministrare e quello che invece risulta impossibile.