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20/12/2013 07:00:00

Campobello, l'oleificio sequestrato al boss che rimane in mano alla mafia

Si muovono in fretta. Non perdono tempo a riappropriarsi dei beni che lo Stato gli porta via togliendogli fonti di guadagno, potere e consenso sociale. Sono riusciti a riprendersi l’azienda sequestrata qualche mese prima al boss Franco Luppino. Cosa nostra a Campobello di Mazara non ha voluto mollare l’osso. L’osso è l’oleificio “Fontane d’oro”, nella terra del super latitante Matteo Messina Denaro. L’azienda era diventata simbolo dell’antimafia, con lo stato che ha messo i sigilli all’oleificio in seguito all’operazione Golem I. Nel corso del blitz, scattato nel 2008 venne arrestato il titolare di fatto dell’azienda, Franco Luppino, uomo di spicco della consorteria. Per lui la gestivano prestanome, secondo l’inchiesta Golem Franco e Giuseppe Indelicato. La magistratura ha capito tutto e ha messo i sigilli. Ma non è bastato. Perchè la mafia è riuscita a rimettere le mani su quell’azienda. Questo viene fuori dall’operazione antimafia Eden, che ha portato in cella 30 persone, tra fedelissimi e insospettabili, che costituivano, secondo la Dia, il cerchio magico del super latitante di Castelvetrano.
Come riappropriarsi dell’azienda? Attraverso insospettabili imprenditori. Sono Vincenzo Peruzza, di Castelvetrano, e Vincenzo Torino, di Napoli, arrestati nel corso del blitz. Grazie a loro, secondo le indagini svolte attraverso appostamenti, intercettazioni e controlli incrociati, i boss sono riusciti a riprendere il controllo dell’azienda nonostante il provvedimento di sequestro. I due manager erano riusciti a farsi affittare due rami d’azienda della “Fontane d’oro s.a.s.” dal Tribunale di Trapani. Erano riusciti a ingannare lo Stato. Prima del Tribunale a intavolare la trattativa con i due imprenditori ci ha pensato Aldo Di Stefano, da sempre stretto collaboratore di Luppino. Avevano fatto davvero le cose per bene, e nessuno poteva sospettare di loro visto che non avevano né precedenti, né alcun legame acclarato con la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara che a quell’azienda ci teneva. Fin dalle prime fasi successive al sequestro preventivo i tre entravano in contatto per fare l’affare. “La struttura non deve chiudere - assicurava Torino - altrimenti non c' è più fonte di guadagno. Meglio far restare la struttura aperta e non abbandonarla”. Una volta affittati i due rami d’azienda dal Tribunale di Trapani è partita la gestione del frantoio con i prestanome che davano conto di tutto alla famiglia Luppino, e in particolare a Lea Cataldo, moglie del boss Franco Luppino che nel frattempo si trovaava in carcere. Assunzioni, bilanci. Di tutto ciò se ne sarebbe occupata l’energica signora Luppino, anche lei arrestata nel blitz, che coordinava la gestione dell’azienda durante la detenzione del marito. I due insospettabili si erano messi a disposizione della famiglia. Perrone era più disciplinato, Torino un po’ meno per i gusti di Cosa nostra. E qui non sono mancati i diverbi con la signora Cataldo, per la distribuzione degli utili, per alcuni soldi che mancavano dal conto, circa 50 mila euro. Un giorno ci fu una accesa discussione a casa Luppino. Peruzza tentava di calmare gli animi. “Io ho fatto arrivare 64 mila euro. Lei ha ricevuto tutta la contabilità di lavorazione di tutta l' azienda. Gliel' ho mandata”, diceva a Lea Cataldo che continuava a elencare le spese che stava sostenendo in quel momento, tra avvocati e robe varie, visto che il marito era in carcere. Anche perchè doveva dare anche lei conto a Franco Luppino. “Non può darsi pace - diceva Cataldo riferendosi al marito - voglio chiarezza”. A sistemare tutto intervenne Pietro Polizzi, uomo di fiducia della famiglia Luppino e membro di spicco della consorteria mafiosa a Campobello di Mazara. Figlio di Nicolò Polizzi, entrambi vengono arrestati nel corso del blitz. Sia Pietro che Nicolò Polizzi intervengono nella questione. Riprendere in mano l’azienda. Farla andare avanti. Far fruttare soldi per l’organizzazione. La Fontane d’oro era importantissima per controllare il mercato belicino. Attraverso queste azienda la mafia riesce anche a determinare il prezzo dell’olio. A gestire tutta una filiera.