Cosa Nostra torna a minacciare, fa arrivare messaggi intimidatori ai magistrati in prima linea, fa paura. Ma il dna dell'organizzazione mafiosa, è profondamente cambiato e «l'ipotesi che Cosa Nostra possa mettere in atto un attentato di tipo stragista sul genere di quelli che hanno segnato i primi anni ‘90 è piuttosto remota» perché oggi Cosa Nostra non è «nelle condizioni militari e organizzative di venti anni fa». L'analisi è del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, intervenuto alla Camera alla presentazione dell'attività 2013 della Dia. Un'attività record, con 160 arresti e sequestri per 1,3 miliardi di euro, che chiude il ventunesimo anno di attività di un apparato di investigazione e coordinamento il cui «modello dovrebbe essere esportato in molti altri settori di azione dei pubblici poteri», sottolinea la presidente della Camera, Laura Boldrini.
Roberti ha manifestato la propria solidarietà al pm di Palermo Nino Di Matteo e ai magistrati della Procura impegnati nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, vittime delle pesanti minacce del boss Totò Riina. Venerdì, tra l'altro, sarà una delegazione del Csm guidata dal vice presidente Michele Vietti a recarsi a Palermo per una serie di incontri con i capi degli uffici giudiziari e per studiare possibili interventi di tutela. Il clima è pesante, «desta allarme - sottolinea lo stesso Roberti - e l'attenzione dello Stato è altissima». Ma non siamo nel ‘92. Cosa Nostra, si legge nel rapporto Dia, pur conservando una «straordinaria capacità di penetrazione e condizionamento del tessuto socio-economico» e una «contiguità con settori della politica e delle amministrazioni locali», appare «in perenne affanno, impegnata in una frenetica rimodulazione degli assetti e delle catene di comando».
L'ultimo colpo assestato alla mafia è di pochi giorni fa con l'arresto della rete del clan di Matteo Messina Denaro. Ora all'appello manca lui, il boss superlatitante. Ma «per ripetere le parole di Falcone, ogni cosa ha un inizio e una fine. E le latitanze sono sempre finite a favore dello Stato. Credo che anche in questo caso possiamo ottimisticamente sperare: forse il 2014 porterà buone notizie», auspica il direttore della Dia, Arturo De Felice.
Le minacce a Di Matteo hanno riportato in primo piano anche il dibattito sul 41 bis, perché sono partite da Riina, detenuto in regine di carcere duro, e perché il ministro dell'Interno Angelino Alfano ne ha ipotizzato un inasprimento. Si tratta di capire in che direzione. «Non so quali siano i progetti del ministro - osserva Roberti -. Il 41 bis va applicato bene». E questo non sempre accade? «Per quanto ne so, accade sempre - ha risposto il procuratore nazionale antimafia -, non mi risultano casi in cui sia stato applicato male. C'è un'attenzione costante e una collaborazione del Dap, della Dia e delle procure distrettuali antimafia. Il 41 bis va utilizzato al meglio, nel rispetto delle norme e delle garanzie dei detenuti, se si vuole un'applicazione corretta e rigorosa».