E’ stata l’operazione antimafia dell’anno quella che ha messo in atto la Dda di Palermo con tutte le forze dell’ordine per fare ancora una volta terra bruciata attorno al super latitante Matteo Messina Denaro. Trenta le persone finite in carcere. Ci sono gli affari, le estorsioni, la politica. C’è tutto nell’operazione Eden che fa una fotografia della mafia in provincia di Trapani tutta unita attorno al super latitante che sembra in trappola. E’ una Cosa nostra che tenta di organizzarsi, che tenta, sotto i colpi delle inchieste della magistratura, di racimolare soldi per permettere la latitanza a Messina Denaro.
La latitanza di Matteo Messina Denaro, il capo di Cosa nostra, va avanti dal 1993. Tra i motivi di una latitanza così lunga ci sono delle evidenti coperture (come è avvenuto per Riina e Provenzano, e come è nella storia della mafia siciliana) e un’incapacità delle forze dell’ordine a lavorare in maniera unidirezionale. Tutti cercano Messina Denaro: i carabinieri, la Catturandi, le Questure, il capitano Ultimo, i servizi segreti, quelli che aspirano alla taglia sulla sua testa. Quand’è così, in pratica è come se non lo cercasse nessuno, troppo movimento. E poi troppe gelosie, nessuna comunicazione interforze, nessuna cabina di regia. Ognuno per la sua strada. Ma con l’operazione Eden qualcosa è cambiato. Ed è per questo che possiamo dire che la latitanza di Matteo Messina Denaro è nella sua fase finale. Per la prima volta, infatti, è stata condotta un’operazione che, con la regia del magistrato Teresa Principato, della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha visto coinvolti sul territorio finanzieri, poliziotti, e carabinieri, che hanno preso d’assalto Castelvetrano, la patria del boss, alle tre di notte. Un blitz d’altri tempi. In cuor loro credevano di trovare pure Matteo, nel cuore della notte, svegliarlo in qualche nascondiglio segreto a casa della sorella Patrizia, ad esempio. Non ci sono riusciti. Ma ci sono andati molto vicini. E certo è che l’operazione di oggi “Eden”, segna un colpo mortale al boss, perchè colpisce la cerchia più intima, i suoi familiari, i primi amici fidati. E colpisce quel suo nipote, il giovane Guttadauro, quello che va a braccetto con l’ex giocatore del Palermo Fabrizio Miccoli, che era pronto a ricevere il comando di Cosa nostra, a mettere insieme la tradizione criminale del Belice con la caratura delle famiglie di Palermo. Colpisce la sorella, Patrizia. Che reggeva le fila dell’organizzazione in quel di Castelvetrano, e non aveva scrupoli quando c’era da chiedere il pizzo ad un funerale. C’è il cugino Giovanni Filardo e tutta la sua famiglia, che continuavano a gestire gli affari del padre detenuto. L’altro cugino Mario Messina Denaro, a cui l’imprenditrice Elena Ferraro aveva detto no alla richiesta del pizzo e aveva denunciato tutto. Viene scoperta quella che secondo le indagini sarebbe stata la compravendita di voti alle ultime regionali in favore dell’ex assessore provinciale Doriana Licata. Il fratello verrà arrestato e poi scarcerato, con l’accusa di aver procurato voti con esponenti di Cosa nostra per la sorella candidata con l’Mpa. Viene scoperto che i Luppino, storici appartenenti alla cosca di Campobello di Mazara, erano rimasti in possesso dell’oleificio che qualche anno fa gli era stato sequestrato.
Tutti i familiari del boss lavorano per lui. A lui è garantita, nonostante la persistente condizione di latitanza, la tempestiva e piena cognizione delle questioni di interesse del mandamento mafioso e l’esercizio delle prerogative di valutazione e decisione correlate alla riconosciuta sua funzione di vertice. Non si muove foglia che Matteo non voglia, anche se è latitante dal 1993. Ciò conferma ancora una volta che Messina Denaro viaggia, si sposta, ma vive e si nasconde nel suo territorio, tra Mazara, Castelvetrano, e Campobello, dove può comandare la cosca.
Ma quella della Dda di Palermo è un’operazione gigante, fondamentale. Ha lasciato terra bruciata attorno al boss, che adesso si sente ancora più braccato.