Sarebbe la prima volta in assoluto che un membro della famiglia di Matteo Messina Denaro decide di collaborare. Sarebbe uno squarcio tremendo per l’organizzazione, quello di un parente del boss che sceglie di parlare con i magistrati. Raccontare tutto.
Sperano nel “pentimento” a tutti gli effetti i pm della Dda di Palermo dopo le dichiarazioni rese da Lorenzo Cimarosa, imprenditore cugino del boss latitante Matteo Messina Denaro, arrestato il 13 dicembre nell’operazione antimafia Eden che ha fatto terra bruciata attorno al capo di Cosa nostra invisibile da 20 anni.
“Non sono un pentito, ma voglio parlare perchè sono esasperato, e non solo io, dai continui arresti, dalle perquisizioni che fate per arrivare a Matteo Messina Denaro”. Ha messo questo a verbale Cimarosa - secondo quanto scrive Repubblica Palermo - interrogato dai sostituti procuratori Paolo Guido e Marzia Sabella e al procuratore aggiunto Teresa Principato il giorno dopo il biltz. Lorenzo Cimarosa ha 54 anni, è sposato con la cugina di Matteo Messina Denaro, Rosa Filardo. Il suo ruolo all’interno dell’organizzazione era di primo piano, delineano i pm.
Cimarosa parla dei fatti interni della famiglia Messina Denaro, del rapporto col boss, del suo ruolo all’interno della famiglia. Racconta di quando ha ricevuto un pizzino direttamente dal cugino latitante: “Riguardava la questione del parco eolico di Mazara”. In quel caso il boss dava disposizioni sulla spartizioni dei lavori per la mega struttura chiamata “Vento di vino”, di cui doveva occuparsene il nipote del boss, Francesco Guttadauro, arrestato anche lui nel blitz. A verbale Cimarosa dichiara che due anni fa Guttadauro gli chiese di prendere il posto del cognato Giovanni Filardo, che in quel momento si trovava in carcere per l’operazione Golem II, che con l’azienda B.F. costituiva il vero e proprio bancomat per la latitanza di Matteo Messina Denaro. “Giovanni aveva un ruolo importante, Matteo teneva più a lui che a suo fratello” dichiara Cimarosa. Il contenuto del verbale viene fuori proprio qualche giorno dopo la scarcerazione di Giovanni Filardo, che era stato arrestato assieme alla moglie e alle due figlie (anche loro scarcerate su disposizione del Riesame di Palermo) nell’operazione Eden.
Sul suo ruolo Cimarosa ha spiegato che “negli ultimi due anni, dopo l’arresto di mio cognato, mi sono occupato del sostentamento del latitante e della sua famiglia. Negli ultimi tempi gli ho fatto avere 60 mila euro. A dicembre 8 mila euro”. Il tutto attraverso la M.G. impresa che in provincia di Trapani si è aggiudicata diversi lavori, tra cui quello per la realizzazione del Mc Donald’s a Castelvetrano.
Le dichiarazioni di Cimarosa sono state tenute segrete fino ad adesso, e nel verbale sono presenti tanti omissis, segno che diverse dichiarazioni possono essere fondamentali per la cattura del boss. Cimarosa si è presentato davanti ai pm come se avesse un gran travaglio interno. Una voglia di saltare il fosso. “Sono stanco di pagare per gli altri” perchè le indagini potrebbero portare al sequestro delle aziende della famiglia Cimarosa. Le sue dichiarazioni però dono da prendere con le pinze. I magistrati lo sanno, ma sperano che le sue dichiarazioni possano essere l’inizio di una collaborazione con la giustizia a tutti gli effetti. Che c’era una sorta di lesione all’interno della famiglia Messina Denaro si era capito anche leggendo le intercettazioni contenute nell’ordinanza dei Ros sull’operazione Eden. Con Giovanni Filardo che dava del “deficiente” al cognato Cimarosa. “Quello si deve mettere a lavorare” diceva Filardo alla moglie riferendosi al cognato. Liti e gelosie sui ruoli all’interno della famiglia, su chi ha fatto cosa per sostenere la latitanza del boss e la sopravvivenza della famiglia mafiosa. Prima era Filardo a badare a tutto, poi Cimarosa che intercettato dice, riferendosi al cognato, “Fategli sapere wuello che ha fatto Lorenzo in questi due anni, i lavori che ha portato”.Potrebbe essere questo il motivo del salto del fosso di Cimarosa. Ma le sue dichiaraziono sono attendibili? I pm ci sperano per arrivare alla cattura del boss. Non è mai successo in provincia di Trapani che un parente del boss si sia pentito. Potrebbe trattarsi di un bluff, o di una guerra interna. Ma il “pentimento”, la collaborazione con la giustizia non è concepita nella cerchia dei Messina Denaro. Il tratto distintivo di Cosa nostra in provincia di Trapani è proprio quello di essere sorretta da un gruppo di persone tutte legate da una stretta parentela. Una condizione simile a quella della ‘Ndrangheta in Calabria in cui non si conosce il pentitismo.