Sorprende che, oggi come nel passato, tante persone famose, spesso con professioni basate su un’ottima capacità oratoria, siano state, o sono ancora, balbuzienti. Nei bambini la balbuzie si manifesta più di frequente che negli adulti ed esordisce con sintomi che in buona parte guariscono spontaneamente. Le femmine sono meno colpite (il rapporto è di 4:1) e recuperano più spesso dei maschi. L’età d’esordio ha il suo picco massimo tra i due e i cinque anni, quando il bambino cresce dal punto di vista linguistico, ma fino a 11-12 anni di età si può sempre iniziare a balbettare, anche se la frequenza è minore. Esistono molte definizioni di balbuzie. “Quella ufficiale è dell’Oms, che la definisce come un disordine del ritmo della parola caratterizzato da arresti, ripetizioni o prolungamenti involontari di un suono”. Questa definizione è, però, molto parziale, perché prende in considerazione solo l’aspetto dei sintomi udibili, mentre, in realtà, la balbuzie è molto altro. È come un iceberg. Se chiudiamo gli occhi e ascoltiamo parlare un balbuziente ci ritroviamo in questa definizione, ma se riapriamo gli occhi vediamo una persona che, oltre a balbettare, strizza gli occhi mentre parla, muove il collo, ha spasmi respiratori, presenta insomma, tutta una serie di sintomi visibili per cui la balbuzie non solo si può sentire ma anche vedere. L’altra ragione per cui la definizione dell’Oms è un po’ limitata è che il balbuziente, più l’adulto e l’adolescente che il bambino, ha modificato la propria personalità, il proprio modo di considerarsi e di considerare gli altri, per via del disturbo di cui soffre. Inizia, per esempio, a sentirsi diverso perché parla male, quindi decide di non parlare, usa circonlocuzioni al posto di una particolare parola, perché pronunciandola teme di balbettare, decide di non farsi interrogare a scuola anche se è preparato per non fare brutte figure, e così via.
Questi atteggiamenti sono definiti condotte di fuga e le possiamo conoscere solo se il balbuziente le racconta, se siamo abili ad entrare in relazione con lui. Il dato rilevante, che accomuna i balbuzienti adolescenti e adulti non trattati, è che quasi tutti soffrono di una perdita di autostima. Esistono molte teorie sull’origine della balbuzie. Una di queste è la teoria genetica, secondo la quale un fattore ereditario genetico predispone al disturbo. Non si eredita la balbuzie come tale, ma un terreno fertile su cui una serie di altri fattori possono scatenarla. Esisterebbe, cioè, un’interazione tra i fattori genetici e fattori ambientali. Gli studi più recenti riguardano la scoperta di mutazioni, presenti in balbuzie di varie razze, in tre geni già coinvolti nelle malattie da accumulo lisosomiale. Si ritiene anche che loci allocati nel cromosoma 13Q21 siano coinvolti nella balbuzie come in altri problemi di comunicazione, come per esempio l’autismo, i disturbi specifici del linguaggio e la sindrome di Gilles de la Tourette. In ogni caso, indagini epidemiologiche dimostrano come la balbuzie sia ricorrente nei familiari, soprattutto nei parenti di primo grado; nel 30-60% dei casi esisterebbe almeno un balbuziente in famiglia.
Studi elettrofisiologici (elettroencefalogramma, potenziali evento correlati, ecc.) e di brain imaging sono arrivati alla conclusione che, dal punto di vista funzionale, i balbuzienti adulti (sui bambini esistono ancora pochi dati disponibili) presentano un’iperattività dell’emisfero destro. Inoltre, nel balbuziente sembra esista una scarsa connessione tra la corteccia uditiva di sinistra, più posteriore e le aree del linguaggio anteriori.
Tutto questo (la predisposizione genetica e le alterazioni cerebrali) si può tradurre in un controllo inefficace sull’attività motoria della parola. Parlare in maniera spedita e articolare le frasi in modo corretto presuppongono abilità notevoli. Se si pensa alle posizioni reciproche molto particolari che labbra, lingua, mandibola assumono mentre si parla, alle sequenze e alla rapidità con cui tali posizioni vengono assunte, si comprende quanto grandi debbano essere le abilità necessarie. Il bambino, proprio quando sta sviluppando il linguaggio e a causa di una sua predisposizione genetica, può non essere così bravo a impegnarsi sia sul fronte motorio sia a organizzare il discorso dal punto di vista linguistico. Di solito non balbetta quando le frasi sono brevi, ma quando inizia a sviluppare frasi più complesse, e più i compiti sono difficili dal punto di vista cognitivo, e quindi anche motorio, più corre il rischio di balbettare.
Se poi l’interlocutore, il genitore, pretende molto da lui può anche creare problemi di natura psicologica. La pressione ambientale, in termini di qualità, di aspettative e di giudizio può essere considerata una causa scatenante o aggravante il disturbo. Ma la balbuzie non è mai solo psicologica, tranne negli adulti soprattutto di sesso femminile, come raramente è solo un trauma cranico o un ictus cerebrale. Allo stato attuale la balbuzie sembra, quindi, possedere un’eziologia multifattoriale.Non esiste una terapia ideale. “Alcune metanalisi mettono in evidenza metodi scientificamente provati che funzionano. Uno di questi si basa sulla modificazione del modo di parlare togliendo forza alle consonanti, allungando le vocali, legando le parole tra loro, parlando in modo lento e rilassato. Il balbuziente spesso si ferma a inizio parola, per cui legando tra loro le parole può risolvere, in parte, il problema. Un altro modo per cercare di non balbettare è quello di togliere forza alla sillaba iniziale (per esempio ammorbidendo le labbra) in modo da sentirsi meno tesi. Con tutti questi metodi andiamo ad agire sull’articolazione della parola ma ci sono altri problemi da risolvere”. Nel tempo, il balbuziente comincia a mostrare comportamenti appresi: se si aspetta di balbettare su una particolare parola impara ad atteggiare le labbra, la lingua, insomma, si prepara ancora prima dell’emissione della parola ma in questo modo peggiora la situazione, si irrigidisce e alla fine balbetta; oppure impara a strizzare gli occhi, perché per caso ha imparato che così facendo ha una caduta d’ansia e balbetta meno. L’aspetto emotivo, l’angoscia, la rabbia, la frustrazione aumentando la tensione che induce sforzo.
Quindi, il balbuziente inizia da piccolo a parlare male per motivi solo di tipo motorio-linguistico (tensione fisica). Poi questa difficoltà si traduce in frustrazione, in tensione fisica, peggiorando il modo di parlare. In tutto questo inserisce, a lungo andare, distorsioni cognitive: comincia a sviluppare una serie di idee irrazionali, come pensare che nessuno potrà mai aiutarlo, che è l’unica persona ansiosa al mondo perché balbetta, oppure percepisce tutti gli ascoltatori come persone che criticano e si divertono alle sue spalle. La situazione a questo punto è complicata ed è molto difficile risolverla solamente con attività di tipo foniatrico-logopediche nel senso classico (tecnica del parlare lento e rilassato, per esempio). In questo caso, per i pazienti adulti può essere necessario esplorare il terreno delle idee irrazionali con l’aiuto di uno psicologo. Trattamenti onerosi di vario tipo sono offerti da chiunque, anche su internet. In genere sono trattamenti abbastanza brevi che non reggono nel tempo. Non è difficile non far balbettare qualcuno dopo pochi giorni, il problema è fare in modo che i risultati durino nel tempo e non ci siano recidive, soprattutto in età adolescenziale e adulta. La balbuzie rimane uno dei disturbi più difficili e complicati da risolvere e i risultati non sono sempre costanti.
Dott. Angelo Tummarello
Pediatra di famiglia
Consigliere regionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Ricercatore e divulgatore scientifico
Marsala
Cell.360409851
Email: dott.a_tummarello@libero.it