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21/02/2014 06:20:00

Canino, imputato per mafia, diventa ai funerali un "perseguitato". Accade a Trapani

 Di fronte alla morte siamo tutti in rispettoso silenzio, i defunti sono tutti buoni per definizione – si sa – e vanno solo elogiati, ci mancherebbe. A Trapani, però, capoluogo della provincia più mafiosa d’Italia è ora di dire basta. Basta all’uso che si fa delle messe e dei funerali per legittimare carriere spesso “grigie”, per far passare per innocenti coloro che sono colpevoli, per galantuomini i pregiudicati. Purchè siano potenti, c’è gloria per tutti nelle funzioni religiose del nostro territorio. Per i poveri cristi, beh… per quelli è un altro discorso.

Era già accaduto nel 2011, quando nella messa di Natale, a Campobello di Mazara, l’arciprete padre Pisciotta – quello che faceva fermare la statua del santo patrono sotto casa del boss Franco Luppino, durante la processione - invitò tutti a pregare per i “poveretti” che erano stati arrestati nell’operazione antimafia “Campus belli”.  ”Che il cielo illumini la mente dei magistrati per aiutare questi undici innocenti che sono in carcere” furono le parole di  padre Pisciotta.

E’ accaduto per i funerali solenni di amici e compari di Matteo Messina Denaro. A fine ottobre del 2012 si sono celebrati a Mazara i funerali di Paolo Forte, amico di infanzia di Messina Denaro (gli diede la carta di identità sua per viaggiare durante il periodo delle stragi) e condannato per favoreggiamento. C’era il deputato regionale Toni Scilla, c’era il Sindaco della città, Nicola Cristaldi (“ma non in veste istituzionale” disse).

Ed è accaduto anche per i funerali di Francesco Canino, il più potente notabile della Dc trapanese scomparso lunedì. Sia chiaro: Canino non era un mafioso. Ma era un politico sotto processo per associazione mafiosa, ed era appartenente alla loggia segreta Iside 2. Il processo per lui, che si trascinava stancamente da anni, tra un rinvio e l’altro a causa delle sue pessime condizioni di salute, era alle battute finali.

Per lui il pubblico ministero Andrea Tarondo aveva chiesto ben 12 anni di reclusione.

Quindi Canino non era mafioso. Era un imputato eccellente di un processo importante, perchè la storia politica di Canino era ed è la storia politica di Trapani negli anni ’80 e ’90, e sarà interessante vedere come comunque le carte del processo, al di là della morte dell’imputato.

Ma non era un perseguitato. Eppure queste parole ha usato un suo discepolo e allievo, il presidente dell’Ordine dei Medici di Trapani, Giuseppe Morfino, intervenuto durante il funerale. Ora, Morfino ha un ruolo pubblico: è presidente di un ordine professionale, quello dei medici. Un settore, quello della sanità, dove frequenti e dimostrate sono le interferenze di Cosa nostra, dove si sono costruite le migliori carriere all’ombra della mafia, soprattutto in provincia di Trapani, dove si muovono personaggi come “Sua Sanità” Pino Giammarinaro (nemico politico di Canino) da Salemi, capaci di fare il bello e cattivo tempo nonostante la misura della sorveglianza speciale per mafia (e per Giammarinaro è in corso una richieste di confisca dei beni per 30 e rotti milioni di euro).

Il presidente dell’Ordine dei Medici, durante la sua “orazione funebre” per Canino si permette di dire:  «Noi perdoniamo chi ti ha ingiustamente perseguitato ma anche loro dovranno rispondere, con la loro coscienza, alla giustizia, quella vera, quella di Dio».

Ma esattamente Canino da chi era perseguitato ? E perchè? Ma Morfino sa chi sono i “perseguitati” su questa terra? Può essere mai considerato perseguitato l’imputato di un processo per mafia al quale viene riconosciuta una delle garanzie più importanti, il rinvio delle udienze per sette anni proprio in ragione delle sue condizioni di salute?

Ma di cosa stiamo parlando?

Canino sarà stato sicuramente un innocente, per carità. Lo siamo e lo sono tutti, fino a prova contraria. Ma chi l’ha perseguitato? Ha subito un’indagine, come tanti prima e dopo di lui, con molte cose già raccontate, ed altre da provare. Se poi Morfino si riferisce a circostanze solo a lui note, perchè non ha mai presentato un esposto?

E il prete, padre Biagio Grillo, lì all’interno della Basilica della Madonna non si è sentito in dovere di fermare in Chiesa chi faceva questo uso  della parola “perseguitato” di fronte a Cristo in croce? Ma vogliamo ridare un senso alle cose, in questa terra?

Anche perchè Morfino è andato avanti, cominciando un processo di beatificazione di Canino, secondo lui chiamato in cielo dal Signore proprio per evitare il supplizio della sentenza.

«Caro Ciccio – ha detto il presidente dell’Ordine dei medici -, tu hai subito delle ingiustizie ma hai avuto il coraggio e la forza di resistere. Questa ingiustizia è stata per noi un momento di sconforto. Ma conoscevamo e conosciamo quale era il tuo impegno, quale era la tua correttezza, quale era la tua volontà di portare avanti i bisogni della gente. Credo che il Signore ti abbia chiamato per evitare che, in qualche aula di tribunale, venisse scritta ingiustamente una pagina che non meritavi».

E sono partiti gli applausi scroscianti e i complimenti per Morfino.

Chissà, magari qualche parola potevano farla dire anche al pentito Antonino Giuffrè, colui che sostiene, nel processo in corso a Trapani, che Canino sarebbe stato a capo di un comitato di affari, stringendo rapporti con boss di primo piano di Cosa Nostra. Il collaboratore di giustizia accusa l’esponente politico di essere “nelle mani di Vincenzo Virga“, l’ex capomandamento di Trapani.

Oppure potevano fare parlare, dopo Morfino, anche Andrea Tarondo, il pm che sostiene l’accusa nel processo Canino. Magari poteva ripetere la sua requisitoria, molto interessante, perchè parla ai vivi più che ai morti:

 “Resta in piedi il rapporto nefasto tra l’associazione mafiosa Cosa nostra e la politica intesa nel senso più ampio. Resta strettissimo il rapporto tra la mafia e le istituzioni pubbliche”. “La mafia oggi non sarebbe stata così potente, dal riuscire ad imporre il pizzo, a controllare gli appalti, le imprese, la quotidianità economica, tutto questo non sarebbe stato possibile senza il rapporto intimo tra la mafia e le pubbliche istituzioni, l’intimidazione dal settore del racket è stata spostata nel settore istituzionale, è quella intimidazione davanti alla quale si piega non solo il cittadino ma anche il funzionario, il poliziotto, il magistrato, senza questo punto di forza dell’associazione mafiosa Vincenzo Virga non sarebbe riuscito a darsi alla latitanza pochi giorni prima dell’esecuzione dell’ordine di cattura e non sarebbe riuscito a restare per sette anni latitante, senza questo punto di forza Matteo Messina Denaro sarebbe da anni nelle patrie galere, i boss mafiosi dal carcere non sarebbero riusciti a continuare a dare ordini anche di morte, con questo punto di forza funzionari incorruttibili, prefetti decisi a far rispettare la legge sono stati trasferiti ad altri incarichi, posti nelle condizioni di non nuocere, e nel contempo è accaduto che funzionari corrotti e compromessi, penso con quella massoneria, Iside 2, alla quale apparteneva anche l’on. Canino, condividendo la adesione con colletti bianchi e mafiosi, sono rimasti per decenni ad occupare posizioni di potere e a compiere brillanti carriere”. “La mafia di Vincenzo Virga, oramai agonizzante, senza questi punti di forza non avrebbe potuto risorgere con il boss Francesco Pace direttamente legato a Matteo Messina Denaro, non avrebbe potuto corrompere l’ex vice presidente delle Regione Bartolo Pellegrino per costruire un intero quartiere a Trapani, fatto per il quale Pace capo mafia erede di Virga sta scontando una condanna”. “A Trapani la mafia ha saputo controllare la spesa pubblica, gli appalti…questo processo riguarda il fondamento del potere mafioso di oggi, il suo sorgere, il suo affermarsi e manifestarsi, in un controllo soffocante e totalizzante delle istituzioni pubbliche”.

Queste le parole del Pm Tarondo durante la requisitoria, per come le riporta il giornalista Rino Giacalone. Sono parole di persecuzione?

Probabilmente per Morfino e per tutti quei medici che in queste ore, a Trapani, non hanno sentito il bisogno di dissociarsi dal comportamento del loro rappresentante. Alla fine quello di buon senso sembra solo il “de cuius”, Francesco Canino. Che solo una volta parlò, all’inizio del processo, per dire ai giudici queste parole: “Non ci sono solo io.  Non sono l’unico politico che ha qualcosa da farsi rimproverare”.

“Reca materna”, come dicono gli anziani dalle nostre parti: requiem in aeternam.