E’ sempre in fermento Cosa nostra. Nonostante le inchieste antimafia. Le operazioni che, arresto dopo arresto, decapitano clan, portano in cella favoreggiatori dei latitanti. Nonostante i sequestri dei beni. Cosa nostra è camaleontica, riesce ad adattarsi, a far fronte comune e riorganizzarsi davanti ai colpi inferti dalle forze dell’ordine. In Sicilia la mafia si trasforma in silenzio. Senza sparare un colpo. Senza fare tanto chiasso. E continuando a fare affari.
Palermo rimane la città in cui l’organizzazione esprime al massimo al propria vitalità, scrive nel suo rapporto annuale la Direzione nazionale antimafia. Vitalità, “sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo, dando concreta attuazione alle linee strategiche da essa adottate in relazione alle mutevoli esigenze imposte dall’attività di repressione continuamente svolta dall’autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria”. E questo è tangibile dai continui tentativi di ristrutturare e fare risorgere le strutture di governo dell’organizzazione criminale duramente colpite dalle inchieste degli ultimi anni. Proprio lo scorso anno nel corso dell’operazione “Nuovo Mandamento” è stato scoperto il tentativo di costituire il “mandamento di Camporeale”, una sorta di super mandamento derivato dalla unione degli storici “mandamenti di San Giuseppe Jato e di Partinico”, con a capo il noto boss Sciortino Antonino, da poco scarcerato. Operazioni Gotha, Perseo, Addio Pizzo. Tutte hanno sconquassato i piani di Cosa nostra, con centinaia di arresti, negli anni scorsi.
Scrive la Dna: “Dalla cattura di Provenzano in poi, Cosa nostra, superata la fase caratterizzata dalla cosiddetta strategia della “sommersione”, vive una fase di transizione, non soltanto sotto il profilo della scelta di una nuova leadership ma anche sotto il profilo della ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative dopo quella ideata e attuata nell’ultimo decennio, definita dell’inabissamento o della sommersione. Le indagini svolte nel periodo passato hanno consentito di comprendere come l’organizzazione continui a tentare di trovare nuovi equilibri interni, spesso turbati dall’intervento tempestivo delle indagini che ancora per tutto il periodo in corso sono riuscite a cogliere l’attualità delle vicende dell’organizzazione criminale”.
Cosa nostra tenta di ricostituire la commissione provinciale a Palermo. Di mantenere un quadro organizzativo ben chiaro nel territorio. Una mappa per intessere relazioni, affari, potere. Rinnovamento, attraverso le strutture di governo. Attraverso i mandamenti, le famiglie, i picciotti. Facendo ricorso, come scrive la Dna, al suo patrimonio “costituzionale”, alle sue regole storiche. Queste regole, a prescindere dalla presenza sul campo di leader carismatici, consente a Cosa nostra di superare i momenti di crisi come quello che sta attraversando. La forza è nella tradizione. Niente colpi di testa, calma, e tutti uniti.
Cosa nostra è “dotata di una sorta di “costituzione formale” e di una sua “costituzione materiale”. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale, nel senso che il governo dell’organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura di tali capi, se la cosiddetta costituzione materiale dell’organizzazione è andata in crisi, la costituzione formale di Cosa Nostra, ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà”. Sono gli anziani ad essere i testamentari delle regole da seguire. Sono loro che istruiscono i più promettenti rampolli della mafia siciliana, fanno da tutor, da consiglieri saggi e affidabili nei momenti di crisi.
Ma – scrive la Dna - “non ci si può illudere sul fatto che lo Stato, approfittando della momentanea debolezza di Cosa nostra, possa più agevolmente e definitivamente sconfiggerla. Deve invece continuare a giungere agli organi deputati al contrasto di Cosa nostra un flusso costante di nuovi, più affinati e sempre più efficaci, strumenti normativi e di risorse anche economiche per tenere testa all’organizzazione criminale; la quale, com’è noto, ha una spiccata abilità nel mettere in campo sofisticate tecniche di resistenza per fronteggiare l’azione repressiva dell’autorità giudiziaria”. Il vuoto di potere all’interno della consorteria mafiosa non ha generato quelle guerre di mafia caratteristiche di un tempo. O le faide presenti in altre organizzazioni criminali per il controllo del territorio. Piuttosto c’è “una cooperazione di tipo “orizzontale”, che – almeno a livello di “mandamento” - vede dialogare e cooperare le componenti”.
L’organizzazione da un lato sta allevando alcuni rampolli. Dall’altro vede il ripresentarsi sulla scena di esponenti già coinvolti in passate vicende giudiziarie. Persone che, note in passato come figure non di primissimo piano negli organigrammi mafiosi, scontata la pena, si ritrovano ad occupare le posizioni di preminenza lasciate libere dai boss di maggior calibro. Così Cosa nostra supera i colpi messi a segno dalle forze dell’ordine. Ma la Dna sottolinea proprio questo aspetto, questa vitalità, e la capacità di reinserirsi in posti di primo piano per i mafiosi che hanno scontato la pena. “In tale quadro è ad esempio necessario valutare come in concreto siano tanti quei soggetti già condannati per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., che, scontata la pena, tornino a delinquere e ad essere nuovamente arrestati, processati e condannati per il medesimo delitto”. A proposito delle norme in materia di criminalità organizzata, con Cosa nostra, la Dna si chiede “se il legislatore non debba approntare, per le ipotesi accertate di reiterazione nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p., un meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso per escludere per un non breve periodo di tempo dal circuito criminale quegli appartenenti all’organizzazione mafiosa che dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione”. Le norme e le tecnologie utilizzate per contrastare i fenomeni criminali “tipici” e la caccia ai latitanti devono essere utilizzati anche – suggerisce la Dna – “alla individuazione dei collegamenti di Cosa Nostra con settori della economia, in funzione della ablazione dei patrimoni in tutto od in parte posseduti dalla mafia od accumulati da imprenditori compiacenti attraverso patteggiamenti ovvero fittizie intestazioni di beni a seguito di accordi con la stessa”.
Tecnologie, leggi, collaboratori di giustizia. Ma non solo. Per la Dna l’apporto più importante è quella della società civile. “La minore autorevolezza ed il minore prestigio degli esponenti mafiosi, determina condizioni favorevoli affinché il consenso, l’acquiescenza o quanto meno la sudditanza di cui l’organizzazione ha goduto in passato, e che già ha perso in parte degli ambienti sociali, in particolare del capoluogo, vengano definitivamente a mancare”. Sintomo della riscossa civile, per la Dna, è il costante alzare la testa da parte dei commercianti e degli imprenditori, soprattutto a Palermo, davanti alle richieste di pizzo.
Sulla latitanza dei boss mafiosi la Dna sottolinea l’importanza e la centralità delle indagini per acciuffarli. In primo piano c’è Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano, latitante da oltre 20 anni. “Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta ritenendosi che, nella descritta situazione di difficoltà di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”.