E’ quella palermitana la mafia più attiva in Sicilia. Qui cosa nostra ha nel radicamento al territorio il proprio punto di forza. E le indagini di questi ultimi anni hanno mostrato uno smisurato senso di adattarsi. Adattarsi ai colpi inferti dalle forze dell’ordine. Il rapporto della Direzione Nazionale Antimafia delinea l’impalcatura di Cosa nostra a Palermo, gli affari, i settori economici in cui si mostra più attiva. Emerge che a Palermo è ancora il concetto di territorio, di suddivisione in mandamenti a caratterizzare l’organizzazione criminale. Questo approccio “istituzionale” alla crisi è la forza di Cosa nostra a Palermo e provincia. La zona ovest della città è quella che fino al novembre del 2007 era in mano al boss Salvatore Lo Piccolo. Comprende i mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana. “Anche dopo la cattura di Salvatore Lo Piccolo e di suo figlio Sandro, - scrive la DNA nella sua relazione annuale - tali mandamenti hanno continuato a caratterizzarsi, sul piano dei fenomeni criminali evidenti, per una intensa attività estorsiva, effettuata in maniera capillare in danno degli operatori economici dell’area e per una significativa attività di riciclaggio dei profitti derivanti dalle estorsioni e dalle altre attività illecite gestite, tra le quali va segnalato il gioco nelle sue forme lecite ed illecite (dal monopolio dei video poker al lotto clandestino), attraverso società “pulite” fittiziamente intestate a terze persone, ovvero tramite imprese compiacenti”. Al contrario del passato il mandamento mafioso di Partinico si è separato dall’area che fu sotto il controllo dei Lo Piccolo. La conferma è arrivata con l’operazione “Nuovo Mandamento”, che ha disvelato la sostanziale formazione di un nuovo grande mandamento a Nord della città di Palermo, avente il suo vertice in Camporeale e ricomprendente i territori del mandamento di Partinico e dell’area di Monreale – Camporeale- S. Giuseppe Jato. Alla base della formazione della nuova struttura vi è in particolare la scarcerazione di Antonino Sciortino , esponente di rilievo di Cosa nostra da poco scarcerato, che per storia e prestigio criminale è stato messo in condizione di tornare a rivestire un ruolo significativo all’interno del sodalizio. “La formazione di un nuovo così vasto mandamento a ridosso della città di Palermo, - scrive la Dna - se non vanificata dall’intervento dell’Arma dei Carabinieri, avrebbe potuto costituire una pericolosissima fonte di pressione sulla città di Palermo, con un ritorno a modelli criminali notissimi, che negli anni ’80 del secolo scorso portarono al predominio dei corleonesi sull’intera Cosa nostra”. A Est di palermo di sono i mandamenti di Boccadifalco ( famiglie mafiose di “Boccadifalco-Passo di Rigano, Torretta, Uditore); della Noce ( famiglie della Noce, di Malaspina-Cruillas e di Altarello); di Pagliarelli (famiglie di Pagliarelli, Corso Calatafimi, di Mezzo Monreale e di Borgo Molara); di Porta Nuova (famiglie di Porta Nuova, Palermo centro e Borgo vecchio); di Brancaccio (famiglie di Roccella, Corso dei Mille, Ciaculli e Brancaccio); di Santa Maria del Gesù (famiglie di Santa Maria del Gesù e Villagrazia di Palermo). Ad avere il potere, in queste zone, ci sono soggetti da poco scarcerati e tornati in libertà. A Brancaccio poi è ancora molto influente il legame alla famiglia Graviano e in questo mandamento di è verificato l’omicidio di Franco Nangano. Un delitto che sembra essere un eccezione alla regola del silenzio. Segno che Cosa nostra ancora oggi, a mali estremi sa trovare estremi rimedi.
Fuori i confini cittadini, in provincia di Palermo, ci sono i mandamenti mafiosi di Belmonte Mezzagno (che risulta comprendere le famiglie di Belmonte Mezzagno e Misilmeri); di Bagheria (che ricomprende le famiglie di Bagheria, Villabate, Casteldaccia ed Altavilla Milicia); di Corleone (che ricomprende le famiglie di Corleone, Prizzi e Ficuzza Marineo, Godrano, Palazzo Adriano e Roccamena, San Cipirrello) di San Giuseppe Jato (che comprende le famiglie di Monreale, Altofonte e San Cipirrello).
Nelle Madonie ci sono poi i mandamenti di Caccamo ( famiglie mafiose di Trabia, Caccamo, Vicari, Roccapalumba ma non quelle di Termini Imerese e Cerda che sembrano godere di una propria autonomia) e di San Mauro Castelverde, le indagini più recenti su tali territori, basate essenzialmente su attività dinamiche risalenti nel tempo ad almeno 6 anni fa hanno dimostrato che su tale territorio ha avuto una notevole influenza Salvatore Lo Piccolo.
Una mafia molto attiva, quella di Palermo e provincia, che sa mantenersi a galla nonostante le inchieste. Che ritrova nel radicamento nel territorio il punto su cui ricominciare. Che si affida ai giovani, ma anche agli anziani, che tramandano le regole per mantenere la calma tra i mandamenti. Ma – scrive la Dna - “la sopravvivenza del fenomeno è favorita da un contesto sociale nel quale - nonostante la meritoria azione delle associazioni antiracket e del volontariato, prime tra tutte Addiopizzo e Libera - scelte consapevoli, dettate dalla convenienza, o timori effettivi, realizzano una coltre di indifferenza che rappresenta il ventre molle nel quale l’ organizzazione mafiosa riesce ad operare in una condizione omertosa che ne accresce il potere”. E’ l’omertà la benzina di Cosa nostra. E la collaborazione tra i mandamenti. Lo scrive la Dna. Non ci sono guerre di mafia, non è tempo per Cosa nostra di dar fiato a invidie e brame di potere assoluto. “In particolare nel corso del primo semestre del 2013, le indagini operate dalle diverse forze di polizia sul territorio della provincia di Palermo hanno consentito di verificare l’esistenza di una rinnovata ricerca di convergenza dei vari mandamenti mafiosi palermitani”. Nel Palermitano Cosa nostra opera ancora attraverso la sistematica imposizione del pizzo. Entra negli affari legati all’edilizia, nei grandi appalti. E ha rinnovato l’attenzione per il traffico degli stupefacenti. “Tuttavia – si legge nel rapporto della Dna - se in passato questa attività criminale rappresentava una delle attività strutturate dell’organizzazione mafiosa e venivano mantenuti contatti con i vertici internazionali del narcotraffico, agevolati dalla circostanza che la Sicilia rappresentava un polo logistico di transito, lavorazione e approvvigionamento degli stupefacenti, attualmente si registra un mero reimpiego delle risorse finanziarie nel settore subordinato alle fonti di approvvigionamento campane e, soprattutto, calabresi”. La droga è uno dei settori in cui Cosa nostra reinveste le liquidità ottenute attraverso altre attività illecite e serve per consolidare il controllo del territorio, assieme all’estorsione.
Cosa nostra tiene ancora saldi i contatti con le organizzazioni d’oltreoceano. L’esistenza del “ponte” tra la Sicilia e gli Stati Uniti è emersa dalle indagini dell’operazione “Nuovo Mandamento” con la conferma che Cosa nostra siciliana e quella statunitense “sovente rispondono alle medesime strategie criminali”.
Anche l’operazione “Argo” ha confermato il rapporto saldo con l’altro capo dell’oceano. Indagine che “ha consentito di disarticolare lo storico mandamento di Bagheria e di trarre in arresto, tra gli altri, uomini d’onore bagheresi quali autori di un duplice omicidio commissionato dall’ organizzazione criminale operante in Canada”.
Numerose sono le indagini degli ultimi anni, sottolineate dalla Direzione Nazionale Antimafia, che hanno scoperto il rapporto tra Cosa nostra e la politica. Il fine ultimo quello degli affari. Dei grandi appalti per opere pubbliche, dell’assegnazione di servizi, l’individuazione di soggetti per l’affidamento di incarichi, l’acquisizione di notizie riservate. Politica e imprenditoria. “Al fine di intromettersi negli ambiti economici di maggiore interesse, - si legge nella relazione della Dna - i più importanti esponenti palermitani dell’organizzazione hanno ricercato e coltivato un rapporto diretto con imprenditori compiacenti con i quali instaurare società di fatto od occulte joint ventures nelle quali coinvolgere proprie imprese condotte sotto falso nome per lo più rinunciando alla interlocuzione diretta con il livello politico-amministrativo, evidentemente giudicata troppo pericolosa”. Rapporti coltivati attraverso prestanomi, soggetti incensurati e bene inseriti nel tessuto sociale del territorio. “A proposito dei rapporti tra mafia e politica, permane la necessità per l’organizzazione mafiosa di infiltrare e condizionare anche gli apparati amministrativi e le rappresentanze politiche al fine di condizionare contratti e lavori per opere pubbliche, l’assegnazione di servizi, l’individuazione di soggetti per l’affidamento di incarichi e acquisizione di notizie riservate”. E qui c’è la necessita dell’infiltrazione nelle pubbliche amministrazioni. Nell’anno analizzato dalla Dna sono stati tre i comuni del Palermitano sciolti per mafia: Misilmeri, Isola delle Femmine, Polizzi Generosa