Ogni provincia, ogni territorio della Sicilia, è organizzato secondo regole precise. Ci sono alleanze, ma anche invidie. Ci sono interessi e tradizioni da consolidare. Guerre fredde nello stesso spicchio di città. Appalti da spartire, carichi di droga da smistare, mazzette da estorcere. Ci sono regole e affari in Cosa nostra. Da Palermo a Messina, a Catania e Agrigento. La parola d’ordine è non fare casini. Arriva da Palermo e si diffonde in tutta l’isola. Il dialogo, le larghe intese targate Cosa nostra, perché in momenti di difficoltà per l’organizzazione criminale è meglio non alzare il tiro. Adattarsi alle situazioni. Incalzate dai colpi delle inchieste antimafia le organizzazioni criminali siciliane si sono date regole precise. A volte agiscono un po’ da cani sciolti, ma c’è una regola tacita, quella della non belligeranza. La Direzione Nazionale Antimafia traccia il quadro della mafia nelle province siciliane.
AGRIGENTO
Cosa nostra è presente in maniera massiccia, invasiva, ma modesta rispetto a Palermo. Nell’Agrigentino, dove negli anni non è mutata la necessità della mafia di infiltrarsi nella pubbliche amministrazioni. Ad Agrigento e provincia non ci sono industrie, non ci sono grandi centri economici, non ci sono soldi. E’ una delle province più povere d’Italia ma la mafia riesce a far fruttare questa povertà. “Le estorsioni nei confronti di operatori economici – si legge nel rapporto annuale della Direzione Nazionale Antimafia - e commerciali e la sistematica pratica della occupazione imprenditoriale in tutti i settori delle opere costituiscono ancora il sistema più diretto e remunerativo per garantire ai coassociati ed all’intera organizzazione il raggiungimento degli scopi criminali tipici”. Il territorio ancora oggi risulta essere diviso in mandamenti, a sua volta suddivisi in articolazioni territoriali composte dalle famiglie di ciascun paese. L’assetto di Cosa nostra in provincia di Agrigento è quello venuto fuori da un mutamento in seguito all’operazione antimafia del 2002 (operazione Cupola). Era il 14 luglio e venivano arrestati i capimandamento riuniti per l’elezione di Maurizio Di Gati (poi diventato collaboratore di giustizia) a capo della provincia. Dopo gli arresti la guida è passata a Giuseppe Falsone, arrestato un paio d’anni fa in Francia. Dopo l’operazione Cupola alcuni assetti sono cambiati, per volere di Falsone. Il mandamento di Siculiana è passato sotto la guida di Porto Empedocle, con a capo il boss Gerlandino Messina. “Le famiglie una volta facenti parte del mandamento di Siculiana sono transitate tutte in quello di Porto Empedocle ad eccezione della famiglia di Agrigento. La città di Agrigento è divenuta mandamento a sé stante in ragione della presa di potere di Calogero Lombardozzi che Falsone nominò anche quale consigliere di Provincia”. E’ stato creato un nuovo mandamento con le famiglie di Racalmuto, Grotte e Comitini, che era guidato da Di Gati. Ma dopo il suo arresto e la sua collaborazione con la giustizia non è dato sapere se questi centri siano stati assorbiti da Favara, dove la situazione è diversa. “Da sempre Favara ha avuto la peculiarità dell’esistenza, accanto alla locale famiglia mafiosa Cosa nostra, di singoli aggregati composti da soggetti di varia estrazione (in genere non formalmente inseriti in Cosa nostra pur se con qualche eccezione)”. Sulle altre famiglie del territorio la Dna scrive: “dopo il sanguinoso scontro degli anni novanta con le organizzazioni mafiose emergenti (cosiddette stidde) Cosa nostra ha ormai ripreso il controllo delle attività delittuose su quasi tutto il territorio della provincia di Agrigento, le indagini svolte hanno consentito di verificare come frange della stidda ancora esistenti o comunque piccole organizzazioni criminali, siano dedite al traffico di stupefacenti ed alla commissione di rapine che vengono tollerate dall’organizzazione cosa nostra e svolte del tutto autonomamente dalla stessa”. L’Antimafia cita anche sette omicidi a fine 2011 (di cui 3 sicuramente non riconducibili alla mafia) e un duplice omicidio nel primo semestre del 2012 questo riconducibile alla criminalità organizzata. In particolare il 26 gennaio è stato ucciso Giuseppe Conello, personaggio di spicco della Stidda di Palma. Le ultime indagini, infine, hanno individuato in Leo Sutera, vicino alla famiglia Messina Denaro, il più importante esponente di Cosa nostra agrigentina. Sutera è stato arrestato nel giugno 2013. Da allora stanno piano piano terminando di scontare la loro pena personaggi associati alla mafia agrigentina. Pronti a colmare il vuoto di leadership.
CATANIA
Molto diversa è la situazione nel Catanese. Diversa rispetto Palermo, capofila di Cosa nostra. Diversa rispetto la Sicilia occidentale. Scrive la Dna: “l’assetto della criminalità organizzata della provincia di Catania, e soprattutto quello del capoluogo, non è monopolizzato da Cosa Nostra. Il panorama criminale della provincia di Catania è caratterizzato da un contesto mafioso frammentato e connotato dalla tradizionale supremazia esercitata da Cosa Nostra etnea, strutturata sulle famiglie di Catania, Ramacca e Caltagirone, nei confronti delle altre famiglie delle quali solo alcune sono organiche o alleate a Cosa Nostra”. Sono due le famiglie che rappresentano Cosa nostra a Catania: il clan Ercolano-Santapaola, la famiglia storica e più moderata dell’organizzazione, e il clan Mazzei. In provincia ha un ruolo autonomo in Cosa nostra la cosca del Calatino – Sud Simeto, riferibile all’anziano boss Francesco La Rocca di San Michele di Ganzaria. Ma è la famiglia Ercolano – Santapaola a rappresentare la principale espressione di Cosa nostra. “Ha sempre vantato capillare presenza nel capoluogo etneo – scrive la Dna nel suo rapporto - e ramificazione in tutta la provincia. In ambito cittadino il sodalizio mafioso è strutturato in squadre, mentre nella rimanente parte della provincia risulta avere legami ed alleanze con altri clan locali, aspetto che consente alla famiglia un capillare controllo del territorio, nonché un’allarmante capacità di infiltrazione nel settore delle attività economiche e della gestione della cosa pubblica”. C’è una sorta di federalismo, in provincia di Catania con il clan Ercolano – Santapaola. I gruppi a esso collegato hanno maggiore autonomia, in quanto i proventi delle messe a posto” per i lavori eseguiti nel territorio da loro controllato vengono trattenuti per metà dal gruppo di riferimento e solo per l’altra metà confluiscono nella bacinella del clan. La Dna pone l’accento all’operazione antimafia Fiori Bianchi che “ha colpito quasi tutti i gruppi territoriali in cui si articola la “famiglia” Santapaola, indebolendone la capacità operativa, e quale effetto collaterale si è registrato in alcune parti della provincia etnea in cui sono presenti altre cosche mafiose particolarmente aggressive e che hanno risentito in misura minore degli effetti di provvedimenti giudiziari una parziale erosione del controllo del territorio e della capacità di sfruttarne le risorse economiche da parte del clan Santapaola a vantaggio di altre gruppi criminali, come quello dei Laudani”.
Lo scenario complessivo, delineato dalla Dna, è quello di una ricerca costante di equilibri e di accordi volti a garantire la convivenza dei vari clan. Si legge nel rapporto: “Sono stati, peraltro, registrati nel settore del traffico degli stupefacenti collegamenti con soggetti fornitori di nazionalità albanese che fanno pervenire in Sicilia a favore di più gruppi criminali, operanti, anche trasversalmente, nel territorio del distretto, ingenti carichi di droga (marijuana), fino ad una tonnellata e oltre a carico, destinata pure ad altri mercati del territorio nazionale (le indagini, che hanno portato al sequestro complessivo di circa tre tonnellate di marijuana, tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013, ed all’arresto di più soggetti). Altro settore di estremo interesse per le organizzazioni criminali è stato accertato essere quello della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani e differenziati”.
MESSINA
Un territorio, una provincia divisa in due. Un po’ con i palermitani, un po’ con i catanesi. Guardando oltre lo stretto, alla ‘Ndrangheta. “La provincia di Messina per lungo tempo ha vissuto in un “cono d’ombra”, determinato da una sorta di deformazione ottica delle problematiche attinenti alla criminalità organizzata: deformazione del tutto ingiustificata, perché il “cono d’ombra” è stato proiettato su strutture mafiose che da decenni avevano rapporti organici con Cosa nostra palermitana (con particolare riferimento alla mafia del barcellonese) e su radicati intrecci affaristico-mafiosi che hanno per molti anni egemonizzato la città di Messina”. E’ questa la fotografia fatta dalla Direzione nazionale antimafia. La provincia di Messina è divisa, nella geografia della mafia, nella fascia tirrenica (Mistretta, Patti, Barcellona Pozzo di Gotto) in cui sono stretti i legami con Cosa nostra palermitana, e nella fascia jonica, con legami con i clan catanesi e la ‘Ndrangheta calabrese. “La città di Messina – spiega la Dna - non ha una organizzazione omologa a Cosa nostra, i cui vertici non hanno insediato nella città dello stretto una famiglia. Di fatto si è realizzato un accordo trasversale sulla spartizione degli affari tra Cosa nostra (palermitana, tirrenica, catanese), la ‘ndrangheta e i gruppi criminali cittadini messinesi (Giostra, Mangialupi ed altri)”.
Ma il luogo più sottovalutato, e più potente dell’organizzazione in provincia di Messina, è la fascia tirrenica, con la città di Barcellona Pozzo di Gotto ad essere capofila. Qui la mafia “ha assunto una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di Cosa nostra palermitana, con la quale intrattiene intensi rapporti nella gestione degli affari. Non si tratta, quindi, di gruppi criminali mutevoli e contingenti legati a determinati personaggi, ma invece di una strutturazione che, così come avviene nella provincia di Palermo, si basa su una scrupolosa ripartizione di competenze territoriali tra famiglie: la famiglia di Tortorici, la famiglia di Mistretta, la famiglia di Barcellona, la famiglia di Milazzo, la famiglia di Mazzarà Sant’Andrea e la famiglia di Terme Vigliatore”. Un sodalizio che si legò nel passato ai Lo Piccolo, ai Santapaola, ai Virga di Trapani. Gli interessi principali per la mafia barcellonese sono quelli legati agli appalti pubblici, all’edilizia. Un controllo pieno e incondizionato del settore. Il procedimento “Gotha”, in particolare, ha dimostrato come la mafia barcellonese si sia costantemente interessata alle più grandi e rilevanti opere pubbliche realizzate nell’ultimo quindicennio nella provincia di Messina e nei territori limitrofi: il raddoppio della linea ferroviaria Messina–Palermo, il completamento dell’autostrada Messina–Palermo, i lavori di realizzazione del metanodotto nella medesima provincia, la realizzazione di alcuni parchi eolici e la ristrutturazione di alcuni centri storici. Ma uno dei punti di forza della mafia barcellonese è stato quello della sostanziale impermeabilità rispetto al fenomeno del pentitismo. “Si erano registrate, in passato, collaborazioni con la giustizia di soggetti a vario titolo coinvolti in vicende criminali di pertinenza del gruppo mafioso, ma - fino ad oggi - la scelta collaborativa non aveva riguardato soggetti organicamente inseriti nella “famiglia barcellonese” e, men che meno, esponenti di vertice della stessa”. Da qualche anno qualche mafioso ha cominciato a parlare. Ma è poca cosa rispetto agli altri territori. Le inchieste degli ultimi anni hanno portato in cella numerosi esponenti dell’organizazione. L’ultima operazione, chiamata Gotha 4, ha tagliato alla radice l’ascesa dei rampolli della famiglia barcellonese, impedendo la successione e la rigenerazione. A proposito di estorsione, la Dna sottolinea una piccola inversione di tendenza, “costituita dalla preziosa collaborazione di alcune vittime, le quali, in diversi casi, hanno offerto un importante contributo nella ricostruzione dei fatti. A tale proposito vi è da dire come, almeno in alcuni casi, il muro di omertà finora posto a protezione dell’organizzazione barcellonese abbia ceduto di fronte alle denunce di una certa parte dell’imprenditoria locale”.
Nella fascia jonica e nel messinese si è passati da una fase più violenta negli affari, legati soprattutto agli stupefacenti, a una impalcatura da “imprenditoria mafiosa” legata al riciclaggio.