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12/05/2014 06:33:00

Gli affari di Messina Denaro sulla pelle dei dializzati

 Le mani della mafia sulla sanità siciliana. Un'ovvietà, in una terra dove la zona grigia è talmente estesa da avvolgere e oscurare qualsiasi barlume di legalità; sembra quasi un banale discorso da bar d'ospedale, o magari un chiacchiericcio qualunquista da sala d'aspetto del medico. Ma l'inchiesta-choc della Procura di
Palermo non tocca soltanto gli ingranaggi della cinghia di trasmissione fra il diritto alla salute dei siciliani e la fame di business di Cosa Nostra. C'è un doppio salto di qualità investigativo, stavolta. Il primo riguarda la caratura dei personaggi coinvolti nella rete di interessi affaristico-mafiosi: c'è l'ombra di Matteo Messina Denaro, l'imprendibile nuovo "capo dei capi", in una vicenda giudiziaria che sta per esplodere, con decine di persone coinvolte (alcune delle quali già iscritte nel registro degli indagati) fra imprenditori, professionisti e funzionari pubblici. Il secondo aspetto - il più spregevole - è che questa macchina "mangiasoldi", oltre che con pressioni criminali e corruzione, si alimenta succhiando l'anima a cittadini fra i più deboli e disagiati: gli emodializzati, sottoposti a cure lunghe e talmente invasive da ridurre al minimo il diritto a una vita normale.


A Palermo un'inchiesta-choc
Ma è tutto coerente con questo sistema assatanato. Che non guarda in faccia nessuno. Compreso il suo potentissimo deus ex machina, il superboss Messina Denaro, latitante dal 1993, ma sempre in servizio permanente effettivo alla guida di Cosa Nostra, il quale per ovvie ragioni ha tutto l'interesse di non mostrarsi. Nemmeno ai suoi soci. Pur continuando a fare affari: villaggi turistici, campi eolici e supermercati, oltre alle tradizionali attività mafiose di "capitolato". E naturalmente la sanità, una mucca da mungere fino all'inverosimile.
In particolare la rete delle cliniche private che prestano servizio agli emodializzati, alcune delle quali gestite da prestanomi e persone vicinissime a Matteo ‘u signurinu. In Sicilia le strutture accreditate sono 88. E si dividono un budget di 110 milioni l'anno di fondi pubblici. Ebbene, la Procura di Palermo ha passato allo scanner anche le pagine più nascoste di questo redditizio settore. Ed è «in una fase avanzata», confermano fonti giudiziarie, un'indagine coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, in strettissimo contatto col procuratore capo Francesco Messineo e con in prima linea la Dia e il Nucleo investigativo dei carabinieri, su un delicatissimo crinale fra associazione mafiosa, truffa ai danni del sistema sanitario nazionale e svariati corollari - dal falso in atto pubblico alla corruzione - che chiamano in causa imprenditori del settore sanitario, professionisti e funzionari regionali.


Un sistema di affari e complicità
Carte, montagne di carte. I faldoni dell'iter di iscrizione alla rete nefrologica privata, ma soprattutto passaggi di proprietà con tanto di atti notarili. Un meccanismo da manuale per riciclare il denaro sporco, acquistando la proprietà di cliniche private già accreditate e dunque destinatarie delle risorse pubbliche (una media di oltre un milione di euro a struttura) che l'assessorato regionale alla Salute destina alle cliniche per i servizi ambulatoriali ai circa 5mila emodializzati siciliani. Non c'è dunque nemmeno bisogno di un "apriscatole" per entrare dentro la sanità privata siciliana: Messina Denaro, attraverso persone fidate, si trova già dentro. Con una tecnica puramente imprenditoriale: l'acquisto dell'intera proprietà delle cliniche, o di una quota tanto sostanziosa da averne il controllo di fatto.
Un'operazione di mercato che sarebbe legale, se non nascondesse una serie di irregolarità assortite. Dai "semplici" illeciti amministrativi fino a sfiorare un'ipotesi di reato fra il favoreggiamento e il concorso esterno in associazione mafiosa. Dai riscontri effettuati sulle strutture private, infatti, sono emerse delle ombre su alcune (a Palermo finora si parla soltanto genericamente di «decine») che avrebbero concluso il passaggio di proprietà con una facilità in stile "burocrazia zero". Senza cioè che nessuno verificasse, con i controlli di secondo livello previsti per legge - a partire dalla certificazione antimafia - il pedigreedi legalità di aziende o singoli imprenditori che di fatto sono soggetti diversi rispetto a chi aveva ottenuto l'accreditamento alla Regione.


Messina Denaro e i suoi "amici"
Ed è proprio su questo passaggio che aleggia il fantasma (e molto di più) di Messina Denaro e dei suoi "compari", nei casi più gravi riscontrati dalla Procura. Da indiscrezioni trapelate dal Palazzo di giustizia palermitano pare addirittura che nella black list dei "signori della dialisi" ci sia pure un omonimo del capo di Cosa Nostra, non è dato sapere se addirittura un congiunto. È il particolare simbolico, la punta di un iceberg che nasconde una fittissima rete di complicità. Non solo dei mafiosi, ma anche di semplici imprenditori che hanno ricevuto una corsia privilegiata, una cuccetta di prima classe nella sanità privata siciliana. Nessun dettaglio, com'è ovvio che sia, sull'identikit delle aziende coinvolte. Ma i riflettori delle indagini, oltre a essere rivolti alla parte occidentale dell'Isola (Palermo e Trapani) arrivano fino a quella orientale, con alcuni file aperti nelle province di Catania e Siracusa. Fra le carte che gli inquirenti stanno spulciando con maggiore attenzione ci sarebbero anche quelle sulla posizione di una multinazionale della nefrologia privata, con sedi in tutta la regione. Al vaglio anche le singole condotte di alcuni professionisti (notai, avvocati, manager), non proprio tutti ignari dell'identità e degli scopi dei loro interlocutori.


Quei «mascalzoni della sanità»

Sia sulle potenziali infiltrazioni mafiose, sia sugli illeciti amministrativi il filo conduttore è il rapporto di "amicizia" negli uffici-chiave della Regione. Non a caso gli inquirenti hanno sentito l'assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino, che s'è messa subito a disposizione per far luce su eventuali distorsioni all'interno del Dipartimento. Fra i rappresentanti istituzionali ascoltati per fornire ulteriori elementi utili all'indagine anche il governatore Rosario Crocetta e il presidente della commissione Sanità all'Ars, Pippo Digiacomo. Anche da alcune denunce di quest'ultimo (in due interviste esclusive pubblicate su questo giornale il 14 luglio e il 24 agosto del 2013) sui «mascalzoni della sanità siciliana» hanno preso spunto i magistrati palermitani. «Sprechi per centinaia di milioni per cliniche e strutture non sempre all'altezza, con la connivenza di pezzi del servizio pubblico», ci aveva segnalato Digiacomo anticipando parte di un dossier sul «buco nero della sanità siciliana» e invitando l'assessore regionale a essere «ancor più coraggiosa nel suo meritorio percorso di razionalizzazione e moralizzazione del sistema sanitario regionale».
E proprio Borsellino, in una conferenza congiunta all'Ars con lo stesso presidente della commissione Sanità all'Ars, anticipò che qualcosa stava bollendo nella pentola della magistratura. In quella sede, sempre nell'estate del 2013, si parlò di «infiltrazioni criminali nel trasporto degli emodializzati». Con una precisazione di Digiacomo: «Finora le denunce sui pazienti in emodialisi riguardano il solo servizio di trasporto e non la qualità del servizio». E in quella conferenza stampa del 12 luglio 2013, una frase di Borsellino oggi risuona come premonitrice: «Episodi come quelli che sono attualmente al vaglio degli investigatori - affermò l'assessore - dimostrano che ci sono anche storture che vanno corrette».


In Sicilia dialisi in mano ai privati
Distorsioni che fanno il paio con quelle del sistema di cure ai pazienti emodializzati in Sicilia. Un settore che registra il record nazionale sui servizi affidati ai privati: ben il 78% dei circa 5mila malati viene curato negli 88 centri ambulatoriali accreditati, mentre il restante 22% nelle 33 unità operative degli ospedali pubblici. In Italia la media di esternalizzazione si attesta sul 15%, con altre punte in Campania (60%) e Lazio (45%).
Così il costo per mantenere questo trend di ricorso ai privati, nonostante gli investimenti della Regione per favorire le cure domiciliari, lievita di anno in anno. Con un paradosso: se i circa 1.500 pazienti candidati a ricevere un rene fossero sottoposti a trapianto, per ognuno di loro si spenderebbe, secondo uno studio del Censis, il 30% in meno rispetto a quanto costa mantenerli in dialisi. Un'inversione di tendenza che si scontra contro una cultura della donazione ancora poco diffusa, seppur in aumento nell'Isola. Ma è chiaro che il principale ostacolo è soprattutto il ricchissimo affaire delle cure private.


Il vaso di Pandora appena aperto
«La nostra attività di verifica sui fatti illeciti che riguardano la sanità siciliana non termina con questo episodio», disse il procuratore aggiunto Agueci lo scorso 10 febbraio (dopo l'arresto dell'ex commissario dell'Asp di Palermo, Salvatore Cirignotta, per lo scandalo dei "pannoloni d'oro"), assicurando che «il filone d'inchiesta sulle irregolarità nel sistema sanitario regionale è tutt'altro che esaurito».
La promessa è stata mantenuta. Ma l'indagine sul sistema delle cure agli emodializzati è soltanto una delle dimostrazioni. Perché sono calde la piste delle infiltrazioni nel 118 (per il dettaglio si legga l'articolo a pagina 3) e quella del "pizzo" imposto dai primari sulle liste d'attesa, sbloccate come per magia per i pazienti che prima donano un sostanzioso "obolo" agli studi privati e poi hanno un'improvvisa accelerazione nel calendario di visite altrimenti possibili soltanto dopo mesi se non anni. E non finisce qui nemmeno il faldone sugli affari allegri nella sanità privata, «diffusi non soltanto nelle cure agli emodializzati», assicurano a Palermo. Dove qualcuno parla, dopo averle viste coi propri occhi, di «milioni di euro che girano chiusi nelle valigie».

fonte La Sicilia, Mario Barresi, 11 Maggio 2014