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08/07/2014 07:43:00

Francesco De Grandi: pittura come cultura

E’ propria della fantasia la facoltà di vedere le cose della realtà diversamente da come si presentano, al fine di trasformarle e ingentilirle, finché l’imbecillità umana non le sfregia. Sostenuta dall’ esercizio manuale, questa risorsa si irrobustisce maggiormente, fino a diventare forza dinamica.
Contribuisce in questo senso l’operato dell’Ente Mostra di Pittura città di Marsala che da tempo organizza, ad inizio di stagione estiva, notevoli eventi artistici, con manifestazioni in cui la qualità dei lavori si unisce al gusto.
Vero è che il linguaggio artistico contemporaneo, nato dalle macerie dell’ultima guerra con un vincitore che, come i precedenti del resto, ha imposto ai vinti mezzi e contenuti artistici spesso incompatibili con il bello e l’onesto, è sempre meno libero perché in mano alla Finanza.
Nel teatro degli inganni e dei travestimenti, com’è adesso ridotto il sistema, l’occhio della memoria potrà dimenticare la collettiva del “Pro e Contro”, promossa anni fa dal nostro Ente? E l’antologica a Fabrizio Clerici o agli eroi greci in riva al mare del pictor optimus, de Chirico?
Questa volta la parete che di solito è occupata dalla scenografica opera “I Naufraghi” di Cagnaccio di San Pietro, donata alla Pinacoteca cittadina dagli eredi del singolare artista, ospita un dipinto, con una voragine fitta di arbusti e piante, che ha il dono di suggestionare e sorprendere l’osservatore.
A prescindere dal richiamo o meno alla “selva oscura” del Poeta, è l’atto fondativo di una pittura che non tollera scappatoie né facilonerie, che rinuncia volentieri a sfruttare mezzi estranei al pennello o al colore, e, quel che più conta, aperto al divenire delle cose, se si guardano i lembi azzurrini che sovrastano fiduciosamente quella fossa impenetrabile.
L’autore è Francesco De Grandi, un pittore-pittore non un pennellatore, disegnatore sicuro, colorista di passioni silenti, con una sottile, ma non esclusiva, vena malinconica.
Una gamma di tinte pittoriche, ora accese ora smorzate, con atmosfere più nordiche che mediterranee, compone l’originale viaggio attraverso la natura, mentre la pellicola pittorica attualizza la lezione dei maestri vedutisti europei: dai fiamminghi ai romantici tedeschi. O del “principe delle rocce”. Così chiamarono Turner.
Ci si chiede: è possibile migliorarsi con gioia, per vie laboriose, nel tentativo di emozionare e senza fare terra bruciata delle esperienze accumulate? Almeno si sarebbero evitate inutili e chiassose trasgressioni.
Quanto di personale e di selettivo si constata, non è un maturo processo di conoscenze e di approfondimenti? Se pensiamo alla pittura definita “regina dei saperi”…
Al serio lavoro di ricerca, al lavoro fatto bene, segue nel visitatore la curiosità istintiva di individuare altre linfe creative. Il dubbio che De Grandi sia autore a tema unico, le meraviglie di madre-Terra, viene meno quando ci si imbatte nella figura umana.
Dall’uso della china al pastello emergono volti scarni, inquieti e pensosi, si noti il “medico condotto”, qualche volta col piglio laido tipico del disegnatore politico Grosz. Se tanta è la carica espressiva che innesca il disegno di quei profili, altrettanta intensità è insita nei dipinti.
Provate capacità tecniche delineano l’identità del dolore nel “Cristo arrestato”. L’immagine riesce perfino a commuoverci.
Parole e commento tacciono, risulterebbero irritanti. Forse offensive. C’è poco da spiegare, molto da sentire. Anche in musica o in poesia avviene lo stesso coinvolgimento.
Non a caso, a conclusione del percorso espositivo nelle invitanti sale del Convento del Carmine, lo sguardo viene catturato da una dormiente dalle pennellate sicure ma estremamente dolci.
“Mari” sembra restituire all’Arte il segreto del suo modo d’essere: il dialogo discreto tra creatore e fruitore. Come innamorati veri.


Peppe Sciabica