Che colpe ha Israele verso i palestinesi? Chi non vuole che la pace sia sancita definitivamente? E perché si nega ad Israele il diritto di difendersi? Cosa è la questione palestinese? Perché non si riesce a trovare una soluzione condivisa per entrambi gli Stati? E perché questo livore, che spesso diventa odio, non solo da parte araba, ma anche da parte di media e intellettuali progressisti, verso Israele, l’unica democrazia avanzata di quella regione? Continua il percorso di Patrizia Bilardello lungo la storia del conflitto Arabo-Israeliano.
Prima che scoppiasse questa ultima crisi Hamas versava già in terribili difficoltà, forse le peggiori della sua storia quasi trentennale. L'avvento in Egitto del generale Abd al-Fattah Khalil al-Sisi ha lasciato Hamas priva del suo grande protettore politico e della sua principale risorsa strategica. Non solo, Al Sisi si sta rivelando un avversario della Fratellanza Musulmana - di cui Hamas è una costola in Palestina, ma in Egitto oggi i Fratelli Musulmani sono sottoposti a una repressione sanguinosa con centinaia di condanne a morte ogni giorno nella completa indifferenza della comunità internazionale. Nei confronti di Hamas, quindi, non solo si sono chiusi tutti i rubinetti degli aiuti, ma l'esercito egiziano ha letteralmente riempito di liquami i tunnel di collegamento tra Gaza e l'Egitto. "I fratelli musulmani sono finiti e non torneranno" ha detto a maggio Al Sisi e non si riferiva solo a quelli egiziani.
Hamas si è dunque trovata quasi all'improvviso l'unica scheggia operativa della Fratellanza Musulmana in Medio Oriente, priva sia del sostegno iraniano che di quello egiziano, pressata a Gaza da frange ancora più estremiste e incastrata in un governo di unità nazionale con Fatah che poteva dare l'impressione di una svolta moderata. E quando Hamas è in difficoltà, l'unica cosa che sa fare per uscirne è sempre quella: muovere guerra a Israele.
Lo schema di Hamas in questi casi è sempre lo stesso: si provoca Israele, Israele reagisce, parte il conteggio delle vittime palestinesi, la comunità internazionale dopo un po' arriva ad imporre una trattativa e una tregua, Hamas si siede al tavolo, ottiene qualcosa (in genere un po' di prigionieri) e torna a Gaza festeggiata dai mortaretti della vittoria. Così per un po' placa i cittadini impoveriti e scontenti e le frange più estreme, mentre lascia a Fatah il ruolo dei moderati inconcludenti.
La riluttanza di Gerusalemme ad intervenire a tappeto è stata evidente a tutti: proposte di tregua, avvisi preliminari alla popolazione palestinese, appelli alla pace persino delle madri dei tre ragazzi uccisi. Mentre l'ostinazione di Hamas nello svuotare i suoi arsenali missilistici ha non solo messo in evidenza il paradosso di uno dei paesi arabi più poveri del mondo (secondo solo al Sudan) impegnato in un immane sforzo militare senza scopo, ma ha anche dato concretezza al "diritto di Israele a difendersi": quei missili erano lanciati per sterminare e - grazie alla loro gittata - avrebbero potuto fare migliaia di vittime. In questo contesto anche il conteggio delle vittime palestinesi ha tardato a produrre l'effetto sperato: mettere in difficoltà il governo israeliano e smuovere il solito meccanismo di condanna generale. Per questo i missili continuavano e continuano a volare, per aggiungere ogni giorno un “più”a quella lista.
Ma Hamas ha fatto altri errori di valutazione. Per cominciare, l'orrore per assassinio dei tre ragazzi israeliani ha alzato di molto la soglia di tolleranza della comunità internazionale per la reazione di Israele. Ma sopratutto Hamas non si è reso conto di non essere più al centro del mondo: l'ideologia non basta più a mantenere il conflitto israelo-palestinese al centro della scena, a farne la madre di tutte le guerre. Altre crisi: la Siria, l'Iran, la Libia, l'Ucraina, hanno preso rumorosamente il sopravvento e messo in secondo piano le sorti dello Stato palestinese. Che, per la sua sopravvivenza, vengano uccisi civili, non sembra molto importante per Hamas. Ma la popolazione della Striscia di Gaza è stanca di sofferenze e privazioni e serpeggia il malcontento. Anche perché, dall’avvento del governo di Hamas, la situazione della popolazione è peggiorata. Nell’aprile dello scorso anno, per es., è stata ratificata una nuova legge sull’educazione. Il Consiglio della Shura, a stragrande maggioranza islamista, ha votato sì alla segregazione di maschi e femmine nella scuola primaria e secondaria, e impedito agli insegnanti di istruire gli alunni di sesso opposto. “Hanno già iniziato a controllarci con tutti i mezzi possibili – afferma Nabila, ex-insegnante e studentessa all’Università di Aqsa - Ci monitorano quando parliamo con i nostri compagni e ci umiliano se non vestiamo secondo i loro dettami. Dei giovani sono stati pubblicamente rasati e ad alcune ragazze sono stati imbrattati i vestiti con bombolette spray”.
Nella Striscia e in Cisgiordania, le istituzioni scolastiche si suddividono in tre categorie. Le scuole private, spesso supportate da enti cristiani, contano un 5% degli studenti totali e la divisione di genere avviene dopo la dodicesima classe. Le scuole governative hanno i bambini segregati dal principio. Le scuole dell’UNRWA, l’Agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, hanno, invece, classi divise dal quinto anno e istruzione garantita fino al nono anno di scuola. Sono queste due ultime istituzioni a dividersi equamente la fetta maggioritaria di alunni della Striscia.
Anche il sistema universitario si divide in istituti governativi, semi-pubblici e privati. I primi, come l’Università di Aqsa, rispecchiano le politiche del ministero dell’Educazione e hanno già introdotto l’uso obbligatorio del velo per le studentesse e la quasi totale segregazione dei sessi. I secondi, come l’Università di Azhar, sono supportati dai fondi dell’Autorità palestinese ma sono indipendenti nella scelta dei programmi. “Le scuole primarie e secondarie di Cisgiordania e Gaza dovrebbero essere omogenee perché il programma è deciso da un comitato congiunto – spiega Mukhaimer Abo Saada, professore di Scienze politiche all’Università di Azhar – In realtà, nella Striscia tutto si gioca sull’enfasi che gli insegnanti danno a certi temi, a discapito di altri”. Dal 2007, in particolare, il governo di Hamas ha sostituito migliaia di insegnanti qualificati, allineati però con il partito di Fatah, con giovani senza esperienza dalle spiccate tendenze islamiste.
Dal 2007, il mantenimento del potere di Hamas nella Striscia è infatti stato garantito dal suo apparato di sicurezza, in nome di una strategica islamizzazione dall’alto. E riformare l’educazione è il primo e decisivo passo. L’aumento del numero di insegnanti dell’UNRWA che si identificano apertamente con gruppi estremisti ha creato un blocco di insegnanti che assicura l’elezione di membri di Hamas e di singoli personaggi impegnati nelle ideologie islamiste. Usando le aule scolastiche come luoghi per diffondere i loro messaggi estremisti, questi insegnanti pesano anche sulle elezioni palestinesi locali. Quindi il sistema scolastico dell’UNRWA è diventato una piattaforma per le attività politiche di Hamas, mentre le scuole sono spesso, depositi di razzi, come scoperto pochi giorni fa. Una chiara dimostrazione di questo fatto è stata la morte di Awad al-Qiq nel maggio 2008. Qiq aveva alle spalle una lunga carriera come insegnante di scienze in una scuola dell’UNRWA ed era stato chiamato a dirigere la sua Rafah Prep Boys School. Ma era anche il principale fabbricatore di bombe per la Jihad Islamica. Rimase ucciso mentre supervisionava un laboratorio dove si costruivano missili e altre armi da usare contro Israele, posto a poca distanza dalla scuola. Qiq si dedicava allo stesso tempo a costruire armi per attaccare civili israeliani e a indottrinare i suoi studenti a fare lo stesso. Quando l’esercito di Israele bombarda e distrugge i siti di Gaza da cui vengono spediti i razzi, c’è un alto rischio che vengano colpiti scolari innocenti. Ma questo non sembra preoccupare i miliziani di Hamas.
L’attuale Stato Palestinese manca di scuole, ospedali, infrastrutture, industrie. Insomma, la popolazione vive in povertà e molti palestinesi devono affrontare ogni mattina, il disagio e l’umiliazione di passare la striscia di Gaza per andare a lavorare in Israele. Eppure, da decenni, arrivano in Palestina fiumi di danaro da parte di varie entità politiche e Stati. Come sono stati usati? Si continua imperterriti a dare la colpa del sottosviluppo palestinese a Israele, alle colonie, ai blocchi e al muro di sicurezza.
E’ veramente così?
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Patrizia Bilardello