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04/11/2014 06:35:00

Marsala, processo per sfruttamento prostituzione, investigatori si finsero clienti

 Alcuni carabinieri si finsero clienti per accertare se all’interno del night club ‘’Cupido’’ di contrada Berbarello vi fosse attività di prostituzione. E a spiegare cosa accadeva all’interno del locale è stato, davanti il Tribunale di Marsala (presidente del collegio Sergio Gulotta), il maresciallo Daidone, ascoltato nel processo che vede imputati Francesco Bianco, di 71 anni, ex gommista, e Diego Marino, di 34. Gli altri tre indagati, Giovanni Candela, Vincenzo e Andrea Figuccia, hanno già patteggiato la pena. Bianco (che in un altro processo è imputato per usura) era il proprietario dell’immobile nel quale, secondo l’accusa, era stata organizzata un’attività di incontri sessuali a pagamento, ma non è accusato di aver avuto un ruolo nella gestione del club. Diego Marino, invece, faceva il cameriere, ma per l’accusa avrebbe controllato, diretto e amministrato l’attività di ‘’meretricio’’. Rispondendo alle domande del pm Antonella Trainito, il maresciallo Daidone ha spiegato che nel locale, per otto serate, furono effettuate intercettazioni audio-video e che in due occasioni lui e un suo collega vi fecero ingresso fingendosi clienti. ‘’Nel parcheggio interno c’erano molte auto – ha dichiarato l’investigatore – dentro ci chiesero i documenti e ci fecero firmare un foglio che poi, ci dissero, avrebbero distrutto. Per l’ingresso abbiamo pagato 10 euro e il biglietto prevedeva anche una consumazione al bancone bar, dove ragazze che indossavano solo minigonne molto corte, vestiti trasparenti o perizoma e reggiseno ci abbordavano chiedendoci di sedere con loro sui divani. Per stare in loro compagnia si doveva pagare un’altra consumazione, 10 euro, ogni dieci minuti e su questa loro avevano una percentuale di due euro. Strusciandosi su di noi, poi, le ragazze ci invitavano ad andare nei privè: quattro o cinque stanzette con una tenda scura all’ingresso, che era sorvegliato da Figuccia. Le ragazze mi dicevano che potevamo avere rapporti sessuali pagando 150 euro. Per 50, invece, ci dicevano che ci avrebbero fatto ‘divertire’ per 10 minuti. In non sono andato nel privè, c’è andato un altro ufficiale di pg che poi mi ha riferito su quanto accaduto all’interno. Il collega mi ha raccontato che la ragazza si è spogliata completamente, ballava, gli si strofinava addosso e si faceva accarezzare. Dopo 10 minuti, Figuccia ha chiesto se voleva continuare e lui ha detto di no, pagando solo 50 euro più 20 per due consumazioni. Una ragazza mi disse che ci potevamo incontrare per fare sesso anche fuori dal locale, in qualche appartamento. La seconda volta che siamo andati, però, le ragazze si mostrarono più calme e molto fredde. Udii che una diceva ad un’altra giovane che eravamo sbirri. Qualcuno glielo aveva detto. Eravamo stati scoperti. Il mio collega, comunque, per allontanare i sospetti, volle andare di nuovo nel privè. Ma stavolta la ragazza fece solo un balletto sexy. Ad accompagnarlo nel privè fu Diego Marino’’. Prossima udienza il 3 dicembre. A difendere Bianco è l’avvocato Paolo Paladino, mentre legale di Marino è Arianna Rallo. L’indagine dei carabinieri, 15 luglio 2013, sfociò in cinque misure cautelari: tre arresti domiciliari e due obblighi di dimora nel Comune di residenza. Al processo sono, però, arrivati in due: Francesco Bianco e Diego Marino. Gli altri tre indagati, infatti, e cioè Giovanni Candela, di 42 anni, legale rappresentante della coop ‘’Cupido One’’, Andrea Figuccia, di 60, e il figlio Vincenzo, di 30, hanno preferito patteggiare la pena, evitando così condanne probabilmente più pesanti. Bianco, ex noto gommista della zona, era il proprietario dell’immobile nel quale, secondo l’accusa, era stata organizzata un’attività di incontri sessuali a pagamento, ma non è accusato di aver avuto un ruolo nella gestione del club. Davanti al magistrato, ha già dichiarato che lui non sapeva cosa accadeva nel locale. Al momento dell’irruzione dei carabinieri, nel locale erano presenti una ventina di clienti, sollazzati da 21 ragazze, in gran parte dell’Est Europa e nordafricane. Dalle indagini è venuto fuori che per ogni prestazione sessuale, della durata di una decina di minuti, i clienti pagavano 50 euro. La metà sarebbe stata incassata dai gestori del locale. Nel night, i militari trovarono anche mezzo grammo di cocaina. L’indagine era stata avviata a seguito dei tre incendi dolosi tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012. Disposti, quindi, servizi di osservazione ed intercettazioni, non solo si scoprivano autori e mandanti dei danneggiamenti, ma si fece luce anche su quanto avveniva all’interno del Cupido Club. Veniva così scoperta un’organizzazione che dietro le forme di un’associazione ‘’celava una vera e propria casa di prostituzione’’. Andrea Figuccia, vice presidente, con il figlio Vincenzo, prima barista e poi vice amministratore, e Diego Marino, avrebbe controllato, diretto e amministrato l’intera attività. Giovanni Candela, invece, aveva il compito di reclutare le ragazze, acquisendo informazioni su età, caratteristiche fisiche ed esperienza nel settore. Nella logistica, Candela era coadiuvato da Andrea Figuccia. Vincenzo Figuccia e Diego Marino avevano la supervisione dei pagamenti, cronometrando addirittura anche il tempo trascorso dai clienti con le prostitute e incassando le somme. Le ragazze avevano anche il 50% sulle consumazioni. Meno di due mesi prima, sempre i carabinieri avevano scoperto un altro locale a ‘’luci rosse’’ in contrada Digerbato, il ‘’Bocca di rosa’’, anche questo molto frequentato. In quel caso, due persone furono poste agli arresti domiciliari e per altrettante scattò il divieto di dimora in provincia di Trapani. Anche stavolta, per scoprire cosa accadeva dentro quei locali un carabiniere (probabilmente scapolo), autorizzato dal magistrato che ha coordinato le indagini, si è finto cliente.