Cinquanta euro per andare dietro un privè con una ragazza e assistere al suo spogliarello”. Era questa la cifra da pagare per far godere gli occhi. Se si voleva andare oltre, bisognava pagare ancora. E’ quanto ha spiegato, in Tribunale, uno dei due sottufficiali dei carabinieri (Griso) che, fingendosi clienti, osservarono cosa accadeva all’interno del locale a luci rosse “Cupido” di contrada Berbarello. L’investigatore è stato ascoltato nel processo a Francesco Bianco, di 71 anni, ex gommista, e Diego Marino, di 34. Bianco era il proprietario dell’immobile, ma non è accusato di aver avuto un ruolo nella gestione del club. Dopo essersi spogliata completamente, la ragazza gli fece intendere che potevano fare anche sesso. Pagando ancora naturalmente. Griso, però, decise che quanto aveva visto poteva essere sufficiente per l’indagine. “Diego Marino – ha detto il carabiniere – faceva il cameriere e vigilava sui privè. La seconda volta che andammo al Cupido le ragazze si mostrarono più fredde”. Come aveva spiegato, infatti, in una precedente udienza l’altro carabiniere finto cliente (il maresciallo Daidone), qualcuno, dopo la prima visita, aveva detto loro che in realtà era “sbirri”. Nel locale, per otto serate, furono effettuate intercettazioni audio-video. “Le ragazze – aveva dichiarato Daidone - indossavano solo minigonne molto corte o perizoma e reggiseno. Ci abbordavano al bar e poi sui divani, strusciandosi, ci invitavano ad andare nei privè. Mi dicevano che potevamo avere rapporti sessuali pagando 150 euro. Per 50, invece, ci dicevano che ci avrebbero fatto “divertire” per 10 minuti. In non sono andato nel privè, c’è andato un altro ufficiale di pg (Griso, ndr) che poi mi raccontò che la ragazza si spogliò e, nuda, ballava e si faceva accarezzare”. L’indagine dei carabinieri sfociò poi (15 luglio 2013) in cinque misure cautelari: tre arresti domiciliari e due obblighi di dimora nel Comune di residenza. Al processo sono, però, arrivati in due: Francesco Bianco e Diego Marino. Gli altri tre indagati, infatti, e cioè Giovanni Candela, di 42 anni, legale rappresentante della coop ‘’Cupido One’’, Andrea Figuccia, di 60, e il figlio Vincenzo, di 30, hanno preferito patteggiare la pena, evitando così condanne probabilmente più pesanti. Al momento dell’irruzione dei carabinieri, nel locale erano presenti una ventina di clienti, sollazzati da 21 ragazze, in gran parte dell’Est Europa e nordafricane. Nel night, i militari trovarono anche mezzo grammo di cocaina. L’indagine era stata avviata a seguito dei tre incendi dolosi tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012. Disposti, quindi, servizi di osservazione ed intercettazioni, non solo si scoprivano autori e mandanti dei danneggiamenti, ma si fece luce anche su quanto avveniva all’interno del Cupido Club. Veniva così scoperta un’organizzazione che dietro le forme di un’associazione ‘’celava una vera e propria casa di prostituzione’’. Andrea Figuccia, vice presidente, con il figlio Vincenzo, prima barista e poi vice amministratore, e Diego Marino, avrebbe controllato, diretto e amministrato l’intera attività. Giovanni Candela, invece, aveva il compito di reclutare le ragazze, acquisendo informazioni su età, caratteristiche fisiche ed esperienza nel settore. Nella logistica, Candela era coadiuvato da Andrea Figuccia. Vincenzo Figuccia e Diego Marino avevano la supervisione dei pagamenti, cronometrando addirittura anche il tempo trascorso dai clienti con le prostitute e incassando le somme. Le ragazze avevano anche il 50% sulle consumazioni. Prossima udienza il 26 gennaio.